“Mettiamola
così: nelle prossime 24 ore ho la possibilità abbastanza concreta
di crepare. Ovviamente non succederà - ma, se dovesse succedere, sappiate che
sono morto felice facendo quello che più mi piace al mondo: viaggiare in
paesi che non hanno mai visto un turista prima di me”.
“Come
sempre, quando si prepara un viaggio importante, cominciano a
grandinare le coincidenze. E chissà quanto sono segni e quanto le provochiamo
noi. Ancora una volta, prima di una partenza, mi sono sdraiato sotto le
stelle, nella Romagna dei miei nonni e della mia infanzia, in cima a Monte
Bora, sulla terra notturna ancora calda del sole di luglio. La terra, sotto,
mi riscaldava il corpo. La brezza, sopra, lo rinfrescava. Lucciole, profumo di
fieno tagliato, il canto di milioni di grilli. È qui che da piccolo studiavo
spagnolo su un libro trovato in soffitta. È qui, davanti a un piatto di
tagliatelle, che tre anni fa si è fatta sentire la solita vocina che
ripeteva: ‘Colombia, Colombia, Colombia!’ […] Si è parlato molto di
morte in questi giorni: della morte serena di Zio Carlo, filosofo e yogi, che
forse sapeva la data del suo trapasso. Guardando il cielo stellato ho pensato
che magari morirò anch’io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo,
tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale
affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della
Terra che mi riscalda il culo. L’indispensabile culo che, finora, mi ha
sempre accompagnato”.
”Stamattina
sono stato a un funerale. La cerimonia è andata via liscia e
incolore finché alla fine il prete ha detto: «Ora il figlio vuole dire
qualche parola». Il figlio, in dieci minuti, ha tratteggiato un ritratto
vivo, affettuoso e vivace del padre. Un ritratto senza sbavature, né
esagerazioni, né cedimenti al sentimentalismo. Ma quei dieci minuti hanno
avuto più calore, colore e spessore di tutto il resto della cerimonia. Il papà
era ancora lì tra noi, vivo, e questo sarà il ricordo che ne manterremo.
Ordunque, trascurando il fatto che io sono certamente immortale, se per
qualche errore del Creatore prima o poi dovesse succedere anche a me di morire
– evento verso cui serbo la più tranquilla e sorridente delle disposizioni
– ecco le mie istruzioni per l’uso.
La mia bara posata a terra, in un ambiente possibilmente laico, ma va bene
anche una chiesa, chi se ne frega. Potrebbe anche essere la Casa delle Balene,
se ci sarà già o ci sarà ancora. L’ora? Tardo pomeriggio, verso l’ora
dell’aperitivo.
Se non sarà stato possibile recuperare il cadavere perché magari sono
sparito in mare (non è una cattiva morte, ci sono stato vicino: ti prende una
gran serenità) in uno dei miei viaggi, andrà bene la sedia dove lavoro col
mio ritratto sopra.
Verrà data comunicazione, naturalmente per posta elettronica, alla lista
EnzoB e a tutte le altre mailing list che avrò all’epoca. Si farà anche un
annuncio sui miei blog e su qualsiasi altra diavoleria elettronica verrà
inventata nei prossimi cent’anni.
Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per
non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei
fratelli e miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro
estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone,
poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente
non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre
affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai,
inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se
ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha
lasciati.
Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico.
Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea
di tutto quello che ho combinato.
Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti,
tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che
volete. Vorrei l’orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a
suonare musiche allegre, violini e sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se
la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino
sulla bara, checcazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un
po’ anche a me.
Voglio che si rida – avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere:
è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte – . E si fumi
tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero
nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considerei
un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita.
Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via
in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa
continueranno fino a notte inoltrata. Le mie ceneri in mare, direi. Ma fate
voi, cazzo mi frega. Basta che non facciate come nel Grande Lebowski”.