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Il noto trattato del Cinquecento (1550 - 1555) di Monsignor Giovanni
della Casa sulla "buona creanza" e sul corretto comportamento. Ha influenzato i
costumi di gran parte della società occidentale degli ultimi secoli. Il termine
"galateo" deriva da Galeazzo (Galatheus) Florimonte, il vescovo di Sessa che ha
suggerito a Monsignor Giovanni della Casa di scrivere il trattato.
"L'eleganza del comportamento è conseguenza
di un sereno dominio delle inclinazioni naturali..." - Giovanni della Casa.
[ I ] Con ciò sia cosa che tu incominci pur ora quel viaggio del
quale io ho la maggior parte, sì come tu vedi, fornito, cioè questa vita mortale,
amandoti io assai, come io fo, ho proposto meco medesimo di venirti mostrando quando un
luogo e quando altro, dove io, come colui che gli ho sperimentati, temo che tu, caminando
per essa, possi agevolmente o cadere, o come che sia, errare: acciò che tu, ammaestrato
da me, possi tenere la diritta via con la salute dell'anima tua e con laude et onore della
tua orrevole e nobile famiglia. E perciò che la tua tenera età non sarebbe sufficiente a
ricevere più prencipali e più sottili ammaestramenti, riserbandogli a più convenevol
tempo, io incomincerò da quello che per aventura potrebbe a molti parer frivolo: cioè
quello che io stimo che si convenga di fare per potere, in comunicando et in usando con le
genti, essere costumato e piacevole e di bella maniera: il che non di meno è o virtù o
cosa a virtù somigliante. E come che l'esser liberale o constante o magnanimo sia per sé
sanza alcun fallo più laudabil cosa e maggiore che non è l'essere avenente e costumato,
non di meno forse che la dolcezza de' costumi e la convenevolezza de' modi e delle maniere
e delle parole giovano non meno a' possessori di esse che la grandezza dell'animo e la
sicurezza altresì a' loro possessori non fanno: perciò che queste si convengono
essercitare ogni dì molte volte, essendo a ciascuno necessario di usare con gli altri
uomini ogni dì et ogni dì favellare con esso loro; ma la giustitia, la fortezza e le
altre virtù più nobili e maggiori si pongono in opera più di rado; né il largo et il
magnanimo è astretto di operare ad ogni ora magnificamente, anzi non è chi possa ciò
fare in alcun modo molto spesso; e gli animosi uomini e sicuri similmente rade volte sono
constretti a dimostrare il valore e la virtù loro con opera. Adunque, quanto quelle di
grandezza e quasi di peso vincono queste, tanto queste in numero et in ispessezza avanzano
quelle: e potre' ti, se egli stesse bene di farlo, nominare di molti, i quali, essendo per
altro di poca stima, sono stati, e tuttavia sono, apprezzati assai per cagion della loro
piacevole e gratiosa maniera solamente; dalla quale aiutati e sollevati, sono pervenuti ad
altissimi gradi, lasciandosi lunghissimo spatio adietro coloro che erano dotati di quelle
più nobili e più chiare virtù che io ho dette. E come i piacevoli modi e gentili hanno
forza di eccitare la benivolenza di coloro co' quali noi viviamo, così per lo contrario i
zotichi e rozzi incitano altrui ad odio et a disprezzo di noi. Per la qual cosa,
quantunque niuna pena abbiano ordinata le leggi alla spiacevolezza et alla rozzezza de'
costumi (sì come a quel peccato che loro è paruto leggieri, e certo egli non è grave),
noi veggiamo non di meno che la natura istessa ce ne castiga con aspra disciplina,
privandoci per questa cagione del consortio e della benivolenza degli uomini: e certo,
come i peccati gravi più nuocono, così questo leggieri più noia o noia almeno più
spesso; e sì come gli uomini temono le fiere salvatiche e di alcuni piccioli animali,
come le zanzare sono e le mosche, niuno timore hanno, e non di meno, per la continua noia
che eglino ricevono da loro, più spesso si ramaricano di questi che di quelli non fanno,
così adiviene che il più delle persone odia altrettanto gli spiacevoli uomini et i
rincrescevoli quanto i malvagi, o più. Per la qual cosa niuno può dubitare che a
chiunque si dispone di vivere non per le solitudini o ne' romitorii, ma nelle città e tra
gli uomini, non sia utilissima cosa il sapere essere ne' suoi costumi e nelle sue maniere
gratioso e piacevole; sanza che le altre virtù hanno mestiero di più arredi, i quali
mancando, esse nulla o poco adoperano; dove questa, sanza altro patrimonio, è ricca e
possente, sì come quella che consiste in parole et in atti solamente.
[ II ] Il che acciò che tu più agevolmente apprenda di fare, dèi
sapere che a te convien temperare et ordinare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio, ma
secondo il piacer di coloro co' quali tu usi, et a quello indirizzargli; e ciò si vuol
fare mezzanamente, perciò che chi si diletta di troppo secondare il piacere altrui nella
conversatione e nella usanza, pare più tosto buffone o giucolare, o per aventura
lusinghiero, che costumato gentiluomo. Sì come, per lo contrario, chi di piacere o di
dispiacere altrui non si dà alcun pensiero è zotico e scostumato e disavenente. Adunque,
con ciò sia che le nostre maniere sieno allora dilettevoli, quando noi abbiamo risguardo
all'altrui e non al nostro diletto, se noi investigheremo quali sono quelle cose che
dilettano generalmente il più degli uomini, e quali quelle che noiano, potremo
agevolmente trovare quali modi siano da schifarsi nel vivere con esso loro e quali siano
da eleggersi. Diciamo adunque che ciascun atto che è di noia ad alcuno de' sensi, e ciò
che è contrario all'appetito, et oltre a ciò quello che rappresenta alla imaginatione
cose male da lei gradite, e similmente ciò che lo 'ntelletto have a schifo, spiace e non
si dèe fare.
[ III ] Perciò che non solamente non sono da fare in presenza degli
uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice; e
non pure il farle et il ricordarle dispiace, ma etiandio il ridurle nella imaginatione
altrui con alcuno atto suol forte noiar le persone. E perciò sconcio costume è quello di
alcuni che in palese si pongono le mani in qual parte del corpo vien lor voglia.
Similmente non si conviene a gentiluomo costumato apparecchiarsi alle necessità naturali
nel conspetto degli uomini; né, quelle finite, rivestirsi nella loro presenza; né pure,
quindi tornando, si laverà egli per mio consiglio le mani dinanzi ad onesta brigata, con
ciò sia che la cagione per la quale egli se le lava rappresenti nella imagination di
coloro alcuna bruttura. E per la medesima cagione non è dicevol costume, quando ad alcuno
vien veduto per via (come occorre alle volte) cosa stomachevole, il rivolgersi a' compagni
e mostrarla loro. E molto meno il porgere altrui a fiutare alcuna cosa puzzolente, come
alcuni soglion fare con grandissima instantia, pure accostandocela al naso e dicendo:
-Deh, sentite di gratia come questo pute!-; anzi doverebbon dire: -Non lo fiutate, perciò
che pute-. E come questi e simili modi noiano quei sensi a' quali appartengono, così il
dirugginare i denti, il sufolare, lo stridere e lo stropicciar pietre aspre et il fregar
ferro spiace agli orecchi, e dèesene l'uomo astenere più che può. E non sol questo; ma
dèesi l'uomo guardare di cantare, specialmente solo, se egli ha la voce discordata e
difforme; dalla qual cosa pochi sono che si riguardino, anzi, pare che chi meno è a ciò
atto naturalmente più spesso il faccia. Sono ancora di quelli che, tossendo e
starnutendo, fanno sì fatto lo strepito che assordano altrui; e di quelli che, in simili
atti, poco discretamente usandoli, spruzzano nel viso a' circonstanti; e truovasi anco
tale che, sbadigliando, urla o ragghia come asino; e tale con la bocca tuttavia aperta
vuol pur dire e seguitare suo ragionamento e manda fuori quella voce (o più tosto quel
romore) che fa il mutolo quando egli si sforza di favellare: le quali sconce maniere si
voglion fuggire come noiose all'udire et al vedere. Anzi dèe l'uomo costumato astenersi
dal molto sbadigliare, oltra le predette cose, ancora perciò che pare che venga da un
cotal rincrescimento e da tedio, e che colui che così spesso sbadiglia amerebbe di esser
più tosto in altra parte che quivi, e che la brigata, ove egli è, et i ragionamenti et i
modi loro gli rincrescano. E certo, come che l'uomo sia il più del tempo acconcio a
sbadigliare, non di meno, se egli è soprapreso da alcun diletto o da alcun pensiero, egli
non ha mente di farlo; ma, scioperato essendo et accidioso, facilmente se ne ricorda; e
perciò, quando altri sbadiglia colà dove siano persone ociose e sanza pensiero, tutti
gli altri, come tu puoi aver veduto far molte volte, risbadigliano incontinente, quasi
colui abbia loro ridotto a memoria quello che eglino arebbono prima fatto, se essi se ne
fossino ricordati. Et ho io sentito molte volte dire a' savi litterati che tanto viene a
dire in latino «sbadigliante» quanto 'neghittoso' e 'trascurato'. Vuolsi adunque fuggire
questo costume, spiacevole -come io ho detto- agli occhi et all'udire et allo appetito;
perciò che, usandolo, non solo facciamo segno che la compagnia con la qual dimoriamo ci
sia poco a grado, ma diamo ancora alcun indicio cattivo di noi medesimi, cioè di avere
addormentato animo e sonnacchioso; la qual cosa ci rende poco amabili a coloro co' quali
usiamo. Non si vuole anco, soffiato che tu ti sarai il naso, aprire il moccichino e
guatarvi entro, come se perle o rubini ti dovessero esser discesi dal cielabro, che sono
stomachevoli modi et atti a fare, non che altri ci ami, ma che se alcuno ci amasse, si
dis[inn]amori: sì come testimonia lo spirito del Labirinto (chi che egli si
fosse), il quale, per ispegnere l'amore onde messer Giovanni Boccaccio ardea di quella sua
male da lui conosciuta donna, gli racconta come ella covava la cenere sedendosi in su le
calcagna e tossiva et isputava farfalloni. Sconvenevol costume è anco, quando alcuno
mette il naso in sul bicchier del vino che altri ha a bere, o su la vivanda che altri dèe
mangiare, per cagion di fiutarla; anzi non vorre' io che egli fiutasse pur quello che egli
stesso dèe bersi o mangiarsi, poscia che dal naso possono cader di quelle cose che l'uomo
ave a schifo, etiandio che allora non caggino. Né per mio consiglio porgerai tu a bere
altrui quel bicchier di vino al quale tu arai posto bocca et assaggiatolo, salvo se egli
non fosse teco più che domestico; e molto meno si dèe porgere pera o altro frutto nel
quale tu arai dato di morso. E non guardare perché le sopra dette cose ti paiano di
picciolo momento, perciò che anco le leggieri percosse, se elle sono molte, sogliono
uccidere.
[ IV ] E sappi che in Verona ebbe già un Vescovo molto savio di
scrittura e di senno naturale, il cui nome fu messer Giovanni Matteo Giberti, il quale fra
gli altri suoi laudevoli costumi si fu cortese e liberale assai a' nobili gentiluomini che
andavano e venivano a lui, onorandogli in casa sua con magnificenza non soprabondante, ma
mezzana, quale conviene a cherico. Avenne che, passando in quel tempo di là un nobile
uomo, nomato Conte Ricciardo, egli si dimorò più giorni col Vescovo e con la famiglia di
lui, la quale era per lo più di costumati uomini e scientiati. E perciò che gentilissimo
cavaliere parea loro e di bellissime maniere, molto lo commendarono et apprezzarono; se
non che un picciolo difetto avea ne' suoi modi; del quale essendosi il Vescovo -che
intendente signore era- avveduto et avutone consiglio con alcuno de' suoi più domestichi,
proposero che fosse da farne aveduto il Conte, come che temessero di fargliene noia. Per
la qual cosa, avendo già il Conte preso commiato e dovendosi partir la matina vegnente,
il Vescovo, chiamato un suo discreto famigliare, gli impose che, montato a cavallo col
Conte, per modo di accompagnarlo, se ne andasse con esso lui alquanto di via; e, quando
tempo gli paresse, per dolce modo gli venisse dicendo quello che essi aveano proposto tra
loro. Era il detto famigliare uomo già pieno d'anni, molto scientiato et oltre ad ogni
credenza piacevole e ben parlante e di gratioso aspetto, e molto avea de' suoi dì usato
alle corti de' gran signori: il quale fu (e forse ancora è) chiamato m(esser) Galateo, a
petition del quale e per suo consiglio presi io da prima a dettar questo presente
trattato. Costui, cavalcando col Conte, lo ebbe assai tosto messo in piacevoli
ragionamenti; e di uno in altro passando, quando tempo gli parve di dover verso Verona
tornarsi, pregandonelo il Conte et accommiatandolo, con lieto viso gli venne dolcemente
così dicendo: -Signor mio, il Vescovo mio signore rende a V(ostra) S(ignoria) infinite
gratie dell'onore che egli ha da voi ricevuto; il quale degnato vi siete di entrare e di
soggiornar nella sua picciola casa. Et oltre a ciò, in riconoscimento di tanta cortesia
da voi usata verso di lui, mi ha imposto che io vi faccia un dono per sua parte, e
caramente vi manda pregando che vi piaccia di riceverlo con lieto animo; et il dono è
questo. Voi siete il più leggiadro et il più costumato gentiluomo che mai paresse al
Vescovo di vedere; per la qual cosa, avendo egli attentamente risguardato alle vostre
maniere et essaminatole partitamente, niuna ne ha tra loro trovata che non sia sommamente
piacevole e commendabile, fuori solamente un atto difforme che voi fate con le labra e con
la bocca, masticando alla mensa con un nuovo strepito molto spiacevole ad udire. Questo vi
manda significando il Vescovo e pregandovi che voi v'ingegniate del tutto di rimanervene e
che voi prendiate in luogo di caro dono la sua amorevole riprensione et avertimento;
perciò che egli si rende certo niuno altro al mondo essere che tale presente vi facesse.
-Il Conte, che del suo difetto non si era ancora mai aveduto, udendoselo rimproverare,
arrossò così un poco, ma, come valente uomo, assai tosto ripreso cuore, disse: -Direte
al Vescovo che, se tali fossero tutti i doni che gli uomini si fanno infra di loro, quale
il suo è, eglino troppo più ricchi sarebbono che essi non sono. E di tanta sua cortesia
e liberalità verso di me ringratiatelo sanza fine, assicurandolo che io del mio difetto
sanza dubbio per innanzi bene e diligentemente mi guarderò; et andatevi con Dio.
[ V ] Ora, che crediamo noi che avesse il Vescovo e la sua nobile
brigata detto a coloro che noi veggiamo talora a guisa di porci col grifo nella broda
tutti abbandonati non levar mai alto il viso e mai non rimuover gli occhi, e molto meno le
mani, dalle vivande? E con ambedue le gote gonfiate, come se essi sonassero la tromba o
soffiassero nel fuoco, non mangiare, ma trangugiare: i quali, imbrattandosi le mani poco
meno che fino al gomito, conciano in guisa le tovagliuole che le pezze degli agiamenti
sono più nette? Con le quai tovagliuole anco molto spesso non si vergognano di rasciugare
il sudore che, per lo affrettarsi e per lo soverchio mangiare, gocciola e cade loro dalla
fronte e dal viso e d'intorno al collo, et anco di nettarsi con esse il naso, quando
voglia loro ne viene? Veramente questi così fatti non meritarebbono di essere ricevuti,
non pure nella purissima casa di quel nobile Vescovo, ma doverebbono essere scacciati per
tutto là dove costumati uomeni fossero. Dèe adunque l'uomo costumato guardarsi di non
ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata, perciò che ella è
stomachevole a vedere; et anco il fregarle al pane che egli dèe mangiare, non pare polito
costume. I nobili servidori, i quali si essercitano nel servigio della tavola, non si
deono per alcuna conditione grattare il capo né altrove dinanzi al loro signore quando e'
mangia, né porsi le mani in alcuna di quelle parti del corpo che si cuoprono, né pure
farne sembiante, sì come alcuni trascurati famigliari fanno, tenendosele in seno, o di
dirieto nascoste sotto a' panni; ma le deono tenere in palese e fuori d'ogni sospetto, et
averle con ogni diligenza lavate e nette, sanza avervi sù pure un segnuzzo di bruttura in
alcuna parte. E quelli che arrecano i piattelli o porgono la coppa, diligentemente si
astenghino in quell'ora da sputare, da tossire e, più, da starnutire, perciò che in
simili atti tanto vale, e così noia i signori, la sospettione, quanto la certezza; e
perciò procurino i famigliari di non dar cagione a' padroni di sospicare, perciò che
quello che poteva adivenire così noia come se egli fosse avenuto. E se talora averai
posto a scaldare pera d'intorno al focolare, o arrostito pane in su la brage, tu non vi
dèi soffiare entro (perché egli sia alquanto ceneroso), perciò che si dice che mai
vento non fu sanza acqua; anzi tu lo dèi leggiermente percuotere nel piattello o con
altro argomento scuoterne la cenere. Non offerirai il tuo moccichino (come che egli sia di
bucato) a persona: perciò che quegli a cui tu lo proferi nol sa, e potrebbelsi avere a
schifo. Quando si favella con alcuno, non se gli dèe l'uomo avicinare sì che se gli
aliti nel viso, perciò che molti troverai che non amano di sentire il fiato altrui,
quantunque cattivo odore non ne venisse. Questi modi et altri simili sono spiacevoli e
vuolsi schifargli, perciò che posson noiare alcuno de' sentimenti di coloro co' quali
usiamo, come io dissi di sopra. Facciamo ora mentione di quelli che, sanza noia d'alcuno
sentimento, spiacciono allo appetito delle più persone quando si fanno.
[ VI ] Tu dèi sapere che gli uomini naturalmente appetiscono più
cose e varie, perciò che alcuni vogliono sodisfare all'ira, alcuni alla gola, altri alla
libidine et altri alla avaritia et altri ad altri appetiti; ma, in comunicando solamente
infra di loro, non pare che chiegghino, né possano chiedere né appetire, alcuna delle
sopradette cose, con ciò sia che elle non consistano nelle maniere o ne' modi e nel
favellar delle persone, ma in altro. Appetiscono adunque quello che può conceder loro
questo atto del comunicare insieme; e ciò pare che sia benivolenza, onore e sollazzo, o
alcuna altra cosa a queste simigliante. Per che non si dèe dire né fare cosa per la
quale altri dia segno di poco amare o di poco apprezzar coloro co' quali si dimora. Laonde
poco gentil costume pare che sia quello che molti sogliono usare, cioè di volentieri
dormirsi colà dove onesta brigata si segga e ragioni, perciò che, così facendo,
dimostrano che poco gli apprezzino e poco lor caglia di loro e de' loro ragionamenti,
sanza che chi dorme, massimamente stando a disagio, come a coloro convien fare, suole il
più delle volte fare alcun atto spiacevole ad udire o a vedere: e bene spesso questi
cotali si risentono sudati e bavosi. E per questa cagione medesima il drizzarsi ove gli
altri seggano e favellino e passeggiar per la camera pare noiosa usanza. Sono ancora di
quelli che così si dimenano e scontorconsi e prostendonsi e sbadigliano, rivolgendosi ora
in su l'un lato et ora in su l'altro, che pare che li pigli la febre in quell'ora: segno
evidente che quella brigata con cui sono rincresce loro. Male fanno similmente coloro che
ad ora ad ora si traggono una lettera della scarsella e la leggono; peggio ancora fa chi,
tratte fuori le forbicine, si dà tutto a tagliarsi le unghie, quasi che egli abbia quella
brigata per nulla e però si procacci d'altro sollazzo per trapassare il tempo. Non si
deono anco tener quei modi che alcuni usano: cioè cantarsi fra' denti o sonare il
tamburino con le dita o dimenar le gambe; perciò che questi così fatti modi mostrano che
la persona sia non curante d'altrui. Oltre a ciò, non si vuol l'uom recare in guisa che
egli mostri le spalle altrui, né tenere alto l'una gamba sì che quelle parti che i
vestimenti ricuoprono si possano vedere: perciò che cotali atti non si soglion fare, se
non tra quelle persone che l'uom non riverisce. Vero è che se un signor ciò facesse
dinanzi ad alcuno de' suoi famigliari, o ancora in presenza d'un amico di minor conditione
di lui, mostrerebbe non superbia, ma amore e dimestichezza. Dèe l'uomo recarsi sopra di
sé e non appoggiarsi né aggravarsi addosso altrui; e, quando favella, non dèe
punzecchiare altrui col gomito, come molti soglion fare ad ogni parola, dicendo: -Non
dissi io vero?- -Eh, voi?- -Eh, messer tale?- (e tuttavia vi frugano col gomito).
[ VII ] Ben vestito dèe andar ciascuno, secondo sua conditione e
secondo sua età, perciò che, altrimenti facendo, pare che egli sprezzi la gente: e
perciò solevano i cittadini di Padova prendersi ad onta quando alcun gentiluomo vinitiano
andava per la loro città in saio, quasi gli fosse aviso di essere in contado. E non
solamente vogliono i vestimenti essere di fini panni, ma si dèe l'uomo sforzare di
ritrarsi più che può al costume degli altri cittadini, e lasciarsi volgere alle usanze;
come che forse meno commode o meno leggiadre che le antiche per aventura non erano, o non
gli parevano a lui. E se tutta la tua città averà tonduti i capelli, non si vuol portar
la zazzera, o, dove gli altri cittadini siano con la barba, tagliarlati tu: perciò che
questo è un contradire agli altri, la qual cosa (cioè il contradire nel costumar con le
persone) non si dèe fare, se non in caso di necessità, come noi diremo poco appresso,
imperò che questo innanzi ad ogni altro cattivo vezzo ci rende odiosi al più delle
persone. Non è adunque da opporsi alle usanze comuni in questi cotali fatti, ma da
secondarle mezzanamente, acciò che tu solo non sii colui che nelle tue contrade abbia la
guarnaccia lunga fino in sul tallone, ove tutti gli altri la portino cortissima poco più
giù che la cintura. Perciò che, come aviene a chi ha il viso forte ricagnato, che altro
non è a dire che averlo contra l'usanza, secondo la quale la natura gli fa ne' più, che
tutta la gente si rivolge a guatar pur lui; così interviene a coloro che vanno vestiti
non secondo l'usanza de' più, ma secondo l'appetito loro, e con belle zazzere lunghe, o
che la barba hanno raccorciata o rasa, o che portano le cuffie o certi berrettoni grandi
alla tedesca; ché ciascuno si volge a mirarli e fassi loro cerchio, come a coloro i quali
pare che abbiano preso a vincere la pugna incontro a tutta la contrada ove essi vivono.
Vogliono essere ancora le veste assettate e che bene stiano alla persona, perché coloro
che hanno le robe ricche e nobili, ma in maniera sconcie che elle non paiono fatte a lor
dosso, fanno segno dell'una delle due cose: o che eglino niuna consideratione abbiano di
dover piacere né dispiacere alle genti, o che non conoscano che si sia né gratia né
misura alcuna. Costoro adunque co' loro modi generano sospetto negli animi delle persone
con le quali usano che poca stima facciano di loro; e perciò sono mal volentier ricevuti
nel più delle brigate, e poco cari avutivi.
[ VIII ] Sono poi certi altri che più oltra procedono che la
sospettione, anzi vengono a' fatti et alle opere sì che con esso loro non si può durare
in guisa alcuna, perciò che eglino sempre sono l'indugio, lo sconcio et il disagio di
tutta la compagnia, i quali non sono mai presti, mai sono in assetto né mai a lor senno
adagiati. Anzi, quando ciascuno è per ire a tavola e sono preste le vivande e l'acqua
data alle mani, essi chieggono che loro sia portato da scrivere o da orinare o non hanno
fatto essercitio, e dicono: -Egli è buon'ora!- -Ben potete indugiare un poco sì- -Che
fretta è questa stamane?- e tengono impacciata tutta la brigata, sì come quelli che
hanno risguardo solo a se stessi et all'agio loro, e d'altrui niuna consideratione cade
loro nell'animo. Oltre a ciò, vogliono in ciascuna cosa essere avantaggiati dagli altri,
e coricarsi ne' migliori letti e nelle più belle camere, e sedersi ne' più comodi e più
orrevoli luoghi, e prima degli altri essere serviti et adagiati; a' quali niuna cosa piace
già mai, se non quello che essi hanno divisato, a tutte l'altre torcono il grifo, e par
loro di dovere essere attesi a mangiare, a cavalcare, a giucare, a sollazzare. Alcuni
altri sono sì bizzarri e ritrosi e strani, che niuna cosa a lor modo si può fare, e
sempre rispondono con mal viso, che che loro si dica, e mai non rifinano di garrire a'
fanti loro e di sgridargli, e tengono in continua tribolatione tutta la brigata: -A
bell'ora mi chiamasti stamane!- -Guata qui, come tu nettasti ben questa scarpetta!- et
anco: -Non venisti meco alla chiesa; bestia, io non so a che io mi tenga che io non ti
rompa cotesto mostaccio!-; modi tutti sconvenevoli e dispettosi, i quali si deono fuggire
come la morte, perciò che, quantunque l'uomo avesse l'animo pieno di umiltà, e tenesse
questi modi non per malitia, ma per trascuraggine e per cattivo uso, non di meno, perché
egli si mostrerebbe superbo negli atti di fuori, converrebbe ch'egli fosse odiato dalle
persone, imperò che la superbia non è altro che il non istimare altrui, e (come io dissi
da principio) ciascuno appetisce di essere stimato, ancora che egli no 'l vaglia. Egli fu,
non ha gran tempo, in Roma un valoroso uomo e dotato di acutissimo ingegno e di profonda
scienza, il quale ebbe nome m(esser) Ubaldino Bandinelli. Costui solea dire che qualora
egli andava o veniva da palagio, come che le vie fossero sempre piene di nobili cortigiani
e di prelati e di signori e parimenti di poveri uomini e di molta gente mezzana e minuta,
non di meno a lui non parea d'incontrar mai persona che da più fosse, né da meno, di
lui: e sanza fallo pochi ne poteva vedere che quello valessero che egli valeva, avendo
risguardo alla virtù di lui, che fu grande fuor di misura; ma tuttavia gli uomini non si
deono misurare in questi affari con sì fatto braccio, e deonsi più tosto pesare con la
stadera del mugnaio che con la bilancia dell'orafo; et è convenevol cosa lo esser presto
di accettarli non per quello che essi veramente vagliono, ma, come si fa delle monete, per
quello che corrono. Niuna cosa è adunque da fare nel cospetto delle persone alle quali
noi desideriamo di piacere, che mostri più tosto signoria che compagnia, anzi vuole
ciascun nostro atto avere alcuna signification di riverenza e di rispetto verso la
compagnia nella quale siamo. Per la qual cosa, quello che fatto a convenevol tempo non è
biasimevole, per rispetto al luogo et alle persone è ripreso: come il dir villania a'
famigliari e lo sgridargli (della qual cosa facemmo di sopra mentione) e molto più il
battergli, con ciò sia cosa che ciò fare è un imperiare et essercitare sua
giurisdittione; la qual cosa niuno suol fare dinanzi a coloro ch'egli riverisce, sanza che
se ne scandaleza la brigata e guastasene la conversatione, e maggiormente se altri ciò
farà a tavola, che è luogo d'allegrezza e non di scandalo. Sì che cortesemente fece
Currado Gianfigliazzi di non moltiplicare in novelle con Chichibio per non turbare i suoi
forestieri, come che egli grave castigo avesse meritato, avendo più tosto voluto
dispiacere al suo signore che alla Brunetta; e se Currado avesse fatto ancora meno
schiamazzo che non fece, più sarebbe stato da commendare, ché già non conveniva chiamar
messer Domenedio che entrasse per lui mallevadore delle sue minaccie, sì come egli fece.
Ma, tornando alla nostra materia, dico che non istà bene che altri si adiri a tavola, che
che si avenga; et adirandosi no 'l dèe mostrare, né del suo cruccio dèe fare alcun
segno, per la cagion detta dinanzi, e massimamente se tu arai forestieri a mangiar con
esso teco, perciò che tu gli hai chiamati a letitia, et ora gli attristi; con ciò sia
che, come gli agrumi che altri mangia, te veggente, allegano i denti anco a te, così il
vedere che altri si cruccia turba noi.
[ IX ] Ritrosi sono coloro che vogliono ogni cosa al contrario degli
altri, sì come il vocabolo medesimo dimostra; ché tanto è a dire «a ritroso» quanto
«a rovescio». Come sia adunque utile la ritrosia a prender gli animi delle persone et a
farsi ben volere, lo puoi giudicare tu stesso agevolmente, poscia che ella consiste in
opporsi al piacere altrui, il che suol fare l'uno inimico all'altro, e non gli amici infra
di loro. Per che, sforzinsi di schifar questo vitio coloro che studiano di essere cari
alle persone, perciò che egli genera non piacere né benivolenza, ma odio e noia: anzi
conviensi fare dell'altrui voglia suo piacere, dove non ne segua danno o vergogna, et in
ciò fare sempre e dire più tosto a senno d'altri che a suo. Non si vuole essere né
rustico né strano, ma piacevole e domestico, perciò che niuna differenza sarebbe dalla
mortine al pungitopo, se non fosse che l'una è domestica e l'altro salvatico. E sappi che
colui è piacevole i cui modi sono tali nell'usanza comune, quali costumano di tenere gli
amici infra di loro, là dove chi è strano pare in ciascun luogo «straniero», che tanto
viene a dire come «forestiero»; sì come i domestici uomini, per lo contrario, pare che
siano ovunque vadano conoscenti et amici di ciascuno. Per la qual cosa conviene che altri
si avezzi a salutare e favellare e rispondere per dolce modo e dimostrarsi con ogniuno
quasi terrazzano e conoscente. Il che male sanno fare alcuni che a nessuno mai fanno buon
viso e volentieri ad ogni cosa dicon di no e non prendono in grado né onore né carezza
che loro si faccia, a guisa di gente, come detto è, straniera e barbara: non sostengono
di esser visitati et accompagnati e non si rallegrano de' motti né delle piacevolezze, e
tutte le proferte rifiutano. -Messer tale m'impose dianzi che io vi salutassi per sua
parte- -Che ho io a fare de' suoi saluti?- e -Messer cotale mi dimandò come voi stavate-
-Venga, e sì mi cerchi il polso!-: sono adunque costoro meritamente poco cari alle
persone. Non istà bene di essere maninconoso né astratto là dove tu dimori; e come che
forse ciò sia da comportare a coloro che per lungo spatio di tempo sono avezzi nelle
speculationi delle arti che si chiamano, secondo che io ho udito dire, liberali, agli
altri sanza alcun fallo non si dèe consentire: anzi, quelli stessi, qualora vogliono
pensarsi, farebbono gran senno a fuggirsi dalla gente.
[ X ] L'esser tenero e vezzoso anco si disdice assai, e massimamente
agli uomini, perciò che l'usare con sì fatta maniera di persone non pare compagnia, ma
servitù: e certo alcuni se ne truovano che sono tanto teneri e fragili, che il vivere e
dimorar con esso loro niuna altra cosa è che impacciarsi fra tanti sottilissimi vetri:
così temono essi ogni leggier percossa, e così conviene trattargli e riguardargli. I
quali così si crucciano, se voi non foste così presto e sollecito a salutargli, a
visitargli, a riverirgli et a risponder loro, come un altro farebbe di una ingiuria
mortale; e se voi non date loro così ogni titolo appunto, le querele asprissime e le
inimicitie mortali nascono di presente: -Voi mi diceste «messere» e non «signore»!- e
-Perché non mi dite voi «V(ostra) S(ignoria)»? Io chiamo pur voi il «signor tale»,
io!- et anco -Non ebbi il mio luogo a tavola- et -Ieri non vi degnaste di venir per me a
casa, come io venni a trovar voi l'altr'ieri: questi non sono modi da tener con un mio
pari-. Costoro veramente recano le persone a tale che non è chi gli possa patir di
vedere, perciò che troppo amano sé medesimi fuor di misura et, in ciò occupati, poco di
spatio avanza loro di potere amare altrui. Sanza che, come io dissi da principio, gli
uomini richieggono che nelle maniere di coloro co' quali usano sia quel piacere che può
in cotale atto essere; ma il dimorare con sì fatte persone fastidiose, l'amicitia delle
quali sì leggiermente, a guisa d'un sottilissimo velo, si squarcia, non è usare, ma
servire, e perciò non solo non diletta, ma ella spiace sommamente: questa tenerezza
adunque e questi vezzosi modi si voglion lasciare alle femine.