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1 - Crisi di uno scrittore - Non riesco a spiegarmi il motivo di una tale indifferenza ... - erano anni ormai che quelle parole affliggevano i pensieri di Martin Lloyd, scrittore di fama mondiale e incontrastato leader dei concorsi letterari di narrativa. Sedeva fissando il muro davanti a sé con una vaga espressione di inutilità dipinta in volto. Lloyd spense l'ennesimo sigaro di puro avana nel posacenere, spinse indietro la sedia, sospirando, e si alzò. Raggiunse il piccolo frigorifero in soggiorno, aprì l'ultima lattina di birra e la portò fino alla vecchia poltrona accanto alla scrivania. Nella sua carriera aveva pubblicato pochissimo: anzi, per essere precisi, aveva pubblicato solamente la raccolta di racconti che gli aveva dato notorietà a livello mondiale e che gli aveva fatto vincere i premi più ambiti nei concorsi di tutto il globo. Ciononostante Martin Lloyd era indiscutibilmente considerato da critica e pubblico come uno dei padri della narrativa moderna. Il problema stava solo nel fatto che Lloyd non aveva mai ricevuto una offerta di lavoro da parte di qualche editore, e questa, considerato il suo carattere orgoglioso, era la ragione della sua sofferenza. Martin non aveva mai preso in considerazione il fatto di proporre, di propria iniziativa, un romanzo a qualche casa editrice perché il solo pensiero di un possibile rifiuto bastava a terrorizzarlo. Si accasciò sull'amata poltrona proprio mentre il postino suonava il campanello. -Raccomandata da Parigi signor Lloyd- esclamò quest'ultimo, mentre Martin gli sorrideva benevolo, quasi con velata malinconia, sull'uscio di casa. Aprì la busta violacea con noncuranza ripetendo un rito a lui ormai consono, e lesse lo scritto. Lesse velocemente, senza avidità; conosceva molto bene il contenuto, poteva quasi citarlo a memoria: ....pertanto la direzione generale, unitamente alla giuria ha dichiarato all'unanimità vincitore del concorso "Notre Paris" il suo racconto "Infinitesima traccia" di sublime... Era parecchio tempo che non provava più alcuna gioia nell' apprendere che qualcuna delle sue composizioni si classificava ai primi posti, anzi lo irritavano i complimenti e gli elogi delle giurie. Ingollò un sorso di birra, tornò a sprofondare nella poltrona e nei pensieri. Fu allora che decise di farlo.
Aprì un altra busta di grossa carta bruna, ne estrasse l'usuale busta affrancata per la risposta, già provvista dell' indirizzo, la buttò sulla scrivania ed esaminò l'accluso manoscritto. Il titolo lo fece sorridere "Viaggiatore Temporale di George Murray"; erano ormai anni che Henry Newman faceva quel lavoro e sapeva riconoscere il genere alla prima occhiata. Lesse i primi due paragrafi e poi saltò direttamente all'ultima pagina : ì dei rumori alle spalle, si girò di scatto con i riflessi che solo l'allenamento quotidiano degli ultimi due anni poteva garantirgli e vide una figura stranamente familiare, tremendamente familiare, fu come guardarsi in uno specchio, un'olografia di vent'anni prima...
Henry aveva azzeccato anche questa volta: la solita storia del viaggio nel tempo, della persona che va nel passato e incontra se stessa. - Ancora una volta! Ma quando impareranno a scrivere racconti decenti! - esclamò prendendo il modulo per i rifiuti, barrò con una croce la voce "trama scontata, si consiglia di provare con un tema meno abusato", accluse poche righe personali e richiuse la busta. Henry aveva l'ingrato compito di vagliare i manoscritti non richiesti per la rivista Narrativa Oggi, un popolare settimanale a tiratura nazionale; solitamente svolgeva il lavoro a casa, la sera. - Caro, cosa c'è che non va? - chiese la moglie dall'altra parte della porta scorrevole che divideva il soggiorno dalla cucina. - La solita storia. Non si stancano mai di scrivere racconti sui viaggi nel tempo, non si accorgono che ormai è cosa trita e ritrita.- Si distese spossato sul divano anatomico concedendosi qualche istante di relax; poi vedendo che mancava ancora qualche minuto all'ora di cena prese un'altra busta dal pacco sulla scrivania. Non lesse neppure il titolo perché dopo dieci anni che si leggono racconti e raccontacci si perde la curiosità per tutto ciò che li riguarda. Iniziò a caso dal secondo paragrafo e si inoltrò nella lettura.
Marcus Venbley guardava proprio da quella parte e lo vide. Vide l'uomo morire. Marcus stava aspettando il dottor Willman e nel frattempo si godeva l'atmosfera del più moderno ristorante di International City: il modo ideale di festeggiare la laurea. I tranquilli occhi castani di Marcus indugiavano sui tavoli semi nascosti dai séparé: non perché si annoiasse ma perché la gente lo interessava più di qualsiasi diavoleria scientifica che il Cafè Suprem potesse escogitare nell'arredamento. L'umanità era la vera costante nella storia: anche ora quattromila anni dopo la costruzione delle piramidi, rappresentava ancora un mistero insoluto e la più grande delle meraviglie.
Ecco qualcosa di diverso, uno stile vagamente familiare, qualcosa di attraente che risvegliasse i sensi assopiti da dieci anni di narrativa spazzatura. Henry si isolò mentalmente dal mondo circostante e si immerse nel racconto che lo guidava con innegabile maestria attraverso i misteri più reconditi. Ne emerse solo dopo aver letto la parola fine che troneggiava sopra il nome dell'autore: John Gussman. Un principiante sicuramente, una matricola della letteratura, ma con uno stile ed una narrazione certamente invidiabili che ricordavano a Henry qualcuno, come una sensazione di una mano conosciuta e forte della narrativa moderna. L'indomani si ripromise di contattarlo telefonicamente, e così fece.
- Buongiorno, sono Henry Newman di Narrativa Oggi. Vorrei parlare con il signor Gussman. - - Buongiorno, sono John Gussman - rispose l'interlocutore. - L'abbiamo chiamata perché abbiamo giudicato interessante il suo racconto, degno di segnalazione. Non possiamo purtroppo pubblicarlo in quanto ci siamo ripromessi di pubblicare solo autori di una certa importanza o comunque conosciuti a livello nazionale. Ciononostante siamo rimasti favorevolmente colpiti del suo manoscritto e la esortiamo a continuare su questa linea.- Henry cercava sempre quando parlava con un novello scrittore di fare critiche costruttive, ma in questo caso non aveva trovato nulla che non andasse nel racconto; il problema era che non si poteva proprio mandare in redazione un pezzo firmato da un anonimo John Gussman o giù di lì. - Vi ringrazio - esordì John - ma non potete fare qualcosa per pubblicarlo comunque, magari in un altra rubrica? - - Vede signor Gussman, la nostra è una rivista a tiratura nazionale, e non può evitare di rispettare certe norme, certi canoni fondamentali che le permettono di mantenere la sua posizione. La gente è abituata ai nomi noti - "gli illustri della letteratura" li chiamiamo noi - e vuole leggere la loro firma in fondo ad ogni racconto o romanzo: è come una garanzia, e spesso è proprio questa garanzia che ci permette di vendere. So che le potrà sembrare stupido ma purtroppo il mondo funziona così; tuttavia, signor Gussman, la esorto a continuare a coltivare la sua vocazione letteraria, perché ho veramente apprezzato il suo stile narrativo, che per certi versi ricorda addirittura quello del famoso Martin Lloyd.- - Capisco - proferì annuendo mentalmente John - e vi ringrazio per il lusinghiero paragone con il Sig. Lloyd; anche lui è un collaboratore della vostra rivista? - - Purtroppo no. Forse lei non lo ha notato ma Lloyd, pur essendo un grande maestro della letteratura, in dieci anni di attività ha pubblicato solo una raccolta di racconti. Se uno scrittore come lui, con la sua fama, non pubblica nulla con tutte le offerte che sicuramente gli arriveranno da parte di editori ben più importanti di noi, significa che è una persona veramente difficile da accontentare, e noi non ci azzardiamo certo ad importunarlo. Ora la devo salutare, ma mi raccomando: continui a scrivere, e vedrà che un giorno anche lei riuscirà a sfondare. Arrivederci.- - Arrivederci. -
Martin Lloyd si rigirò nella comoda poltrona inspirando a pieni polmoni il fumo del suo sigaro. Erano passati sei giorni da quando lo aveva fatto. Le dense volute sprigionate lo aiutavano a concentrarsi, le osservava salire lentamente per poi dissolversi inesorabilmente in una nebbia finissima. Si lasciò cullare da questa sensazione di abbandono perché sapeva che non sarebbe mai riuscito a far pubblicare un romanzo, sapeva che il destino era contro di lui, che il suo maledetto orgoglio l'avrebbe ostacolato per tutta la vita. Sapeva che il fato gli era avverso, che era stato uno sbaglio fare lo scrittore, ma soprattutto ora sapeva con certezza che non avrebbe mai avuto modo di vedere pubblicata una sua opera: era una specie di maledizione. Lo aveva fatto ed aveva fallito, non per colpa sua, ma per un concatenarsi di eventi che gli erano stati fatali. E adesso se ne stava lì sconsolato a rimuginare sulla sua esistenza, su cosa fosse veramente importante, sul fatto di essere condannato all'oblio per essere troppo famoso, un paradosso con cui viveva da dieci anni. La telefonata di Newman non se l'era aspettata, era giunta come una doccia fredda, e a Martin le docce fredde non erano mai piaciute. Un brivido gli corse lungo la schiena, e una smorfia di disappunto comparve sul viso di Martin Lloyd alias John Gussman. |
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