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3 - Vi era un re L'autunno aveva ormai steso il suo malinconico velo su tutto quello che mi circondava e che poteva, non senza errore, essere definito il mio universo. Come consuetudine, mi ritrovavo a passeggiare per le anguste vie cittadine, meditando su come il destino può a volte essere beffardo. Non voglio fare nessuna sorta di recriminazione sulla mia esistenza, solamente un'analisi di ciò che qualsiasi attento osservatore può notare, un pallido, inconsapevole riflesso dell'umana storia della quale ciascuno di noi è impregnato. Quasi per osmosi la realtà ci penetra, ci influenza, ci plagia, svuotandoci dell'io, e riempiendoci di lei, creandoci a sua esatta somiglianza, plasmandoci la memoria. Mi ritrovavo immerso in me stesso, la consapevolezza della vecchiaia ogni giorno più dura da affrontare, la consapevolezza di essere ormai alla fine, di essere oramai completamente svuotato, e riempito di quella porzione di universo che per diritto divino mi spetta. Ma esiste poi una fine? Non è solo l'inizio di qualcosa d'altro? L'appellarsi al ricordo per rendere giustizia, al passato per modellare il futuro, senza rendersi conto di non essere padroni di nulla, neanche del nulla. Seguire binari tracciati con tale determinazione, che neppure ci sfiora l'idea di essere costretti a seguirli; lo stupirsi davanti all'inaspettato, quando altro non è che il frutto di un disegno arcano, premeditato da tempo immemorabile, che ci ammalia e ci fa suoi schiavi. In quanti modi il fato deve venire mitizzato prima di essere accettato per quello che è: il naturale svolgersi degli eventi. Passeggiavo assorto, meditando sugli eventi che hanno costellato la mia vita, senza soffermarmi su nessuno in particolare, volutamente senza offrire attenzione all'uno o all'altro: come una farfalla che si alza leggiadra su un campo di fiori, e vola fermandosi ora qui, ora là, senza mai offendere un fiore troppo a lungo con la sua presenza. La sola differenza è che nella mia memoria, come nella mia vita non c'è mai stato posto per un fiore. Quantunque uno si sforzi di riesumare i fiori, se non gliene sono stati concessi, non ne troverà. Nostalgico l'autunno mi lambiva il viso con la delicatezza di un bimbo, sembrava voler affievolire il dolore con cui avevo imparato a convivere, l'unico fedele compagno della mia esistenza. Fuori, in lontananza, il rumore del traffico, dentro di me il silenzio di una vita. Mi inoltro nel parco, vestito con i colori settembrini, si apre al mio sguardo e sembra accogliermi come un compagno, non con dissimulata affettuosità, con semplice indifferenza: quella di chi sta come te. Forse un albero non risente le avversità della vita? Non si piega al triste editto che per diritto gli spetta, che per dovere deve rispettare, inconsapevole di scrivere un capitolo già scritto? Non c'è qualcuno che per paranoico sadismo ci anima come burattini, muovendo i fili con innegabile maestria, recidendoli quando lo ritiene opportuno, menomandoci per rendere più coinvolgente lo show? E a chi vanno gli applausi quando il sipario viene calato? Opera di prim'ordine: ora tragedia, ora commedia, ora di nuovo tragedia, segue un filone diverso per ognuno di noi fino all'epilogo finale; offre infinite divaricazioni, infinite scelte, ma un'unica possibile via: la realtà. Continuo con passo cadenzato, scegliendo un sentiero a caso; adesso il rumore della natura si è sostituito prepotentemente al rantolo della città, sovrapponendosi ineluttabilmente, relegandolo al silenzio. E la vedo!
Bella, stupenda, affascinante, di indescrivibile armoniosità: solo una mano di incomparabile bravura può aver operato sul cesello della creazione, per giungere ad un simile risultato. La vita in tutta la sua grandezza, si offre a noi con decantata generosità, donandoci infinitamente più di quello che pretende, di quello che gli spetterebbe per sommo volere. Non è meraviglioso come tutto sia mutevole e vago, come l'universo sia vario, offra mille sfaccettature ad ognuno di noi, come ognuno di noi veda cose diverse, pur guardando la stessa. L'universalità assoluta non esiste, ci sono solo relatività singole, singoli punti di vista. La realtà altro non è che un tessuto cangiante, che abbiamo il compito di tessere, che nasce seguendo i dettami del nostro io, sotto la nostra esclusiva direzione; tutto l'umano sapere non riuscirebbe a concepire interamente il quadro di possibilità, di opportunità, che in ogni momento si presentano al singolo individuo. Questo è quanto di più grandioso possa esserci: la facoltà di scelta incondizionata, di decidere il nostro futuro. Soprattutto adesso, mentre la ghiaia sprofonda rumorosa sotto i miei piedi, mi piace passeggiare riflettendo sull'imperiosità di quello che i più timorosi definiscono fato. Il parco mi offre sempre uno stimolo di pensiero sulla vita e il suo corso. Quell'uomo che si sta avvicinando per esempio, chissà quali esperienze potrà annoverare nel suo carnet, quale realtà avrà deciso tra le tante con le sue scelte; mi piacerebbe avere la sua età, solo per la possibilità di dire: io ho contribuito in questo modo, ho fatto questo e nessuno lo potrà più cambiare, nel bene o nel male. All'incirca sessant'anni, sessant'anni sono un abisso contro i miei diciannove, chissà come mi sentirò dopo sessant'anni di dominio sul mondo?
La vedo, una ragazza, una donna di circa vent'anni, carina, elegante, disinvolta, con la noncuranza tipica di quell'età, si sta avvicinando dall'altra parte del viale. Ah, come sei ancora ingenua, come vedi tutto roseo, per quanto il rosa possa esprimere bellezza; non ti stai ancora rendendo conto che non sei altro che un graziosa rondine, esposta al vento, alle intemperie, che in ogni momento il fulmine può tarpare le tue ali. Come vorrei avere la tua età e non conoscere il mondo, non avere faticato così tanto per conquistare una saggezza che non esiste, per sapere che la saggezza non esiste. Tu ora mi stai guardando e penserai a me come ad un vecchio decrepito, senza più nulla che possa dare, che possa volere dalla vita. Un ex uomo, un vecchio, niente di più. Non sai quanto mi piacerebbe poterti anche solo parlare, un minimo cenno di saluto, poterti edurre sulle malvagità cui andrai incontro, non con la superiorità del maestro, con l'umiltà di chi ha bisogno. Ma come posso fermarti, come posso fare perché ti interessi di me, come posso carpire la sua attenzione?
Sarebbe stupendo se potessi parlarti, farmi dire cosa c'è di importante in realtà; pensate tutta la saggezza di una vita racchiusa nell'esile corpo di quell'uomo. Che sguardo fermo e deciso, chissà quale determinazione nascondi dietro quella vecchia scorza. Ma come potrei farmi notare, non riesco neppure a sostenere il peso del tuo sguardo, dubito perfino che mi stia vedendo, i tuoi occhi sono fissi.
Vedi, ancora una volta ci sono cascato, mi sono illuso di poter fare qualcosa di diverso, che esca dai canoni preformati. No, tu non ti fermerai, non mi considererai, perché non si vuole che mi consideri, continuerai per la tua strada già tracciata, che non interseca la mia. Ecco vedi, distogli lo sguardo da me come da un cane randagio, mi sei vicinissima a sei lontanissima; ti potrei toccare, ma tu non te ne accorgeresti. Ora mi sei passata a fianco, non più di un metro, non meno di un chilometro; non ti sei neppure soffermata un attimo a valutare se valesse al pena di guardarmi, ma del resto penso che non avresti potuto vedermi.
Se ne è andato, non sono riuscita neppure ad alzare gli occhi al cospetto dei suoi, non mi ha minimamente considerata, dall'alto del suo regno. Quanto dovrà passare perché anch'io capisca qual'è il segreto della vita. Ma esiste? Tu certamente lo sai vecchio, ma lo custodisci con gelosia, è tuo diritto del resto, e a me tocca scoprirlo, tocca a ma crearmi il mio, e lo voglio diverso da tutti. Tu il tuo te lo sei inventato forse anni fa, forse neppure tu ti ricordi quando, forse neppure io mi ricorderò quando, ma è sicuro che spetterà a me crearlo: è un mio dovere. Dobbiamo avere uno scopo che ci permetta di continuare con costanza, di prendere le decisioni giuste tra la molteplicità del variopinto caleidoscopio umano, a ciascuno spetta il suo destino. Ecco perché tu non ti sei fermato vecchio, non mi hai aiutato, volevi farmi crescere da sola, senza aiuto, con più forza. Ecco perché ti stimo.
Ormai non ti ricorderai nemmeno di avermi visto, di avermi incontrato, di avermi quasi sfiorato. Solo fra molti anni potrai capire quello che io vivo ora, ti auguro di non soccombere, di navigare con destrezza, non seguire sempre la via più facile: non sempre è la migliore; vai anche controcorrente, chi ne segue sempre il corso non avrà mai la forza di curvare il timone. E io che diritto ho di darti consigli? Io che cosa posso dire a mia discolpa? Nulla, del resto non ho scelto io di nascere, nessuno di noi lo decide, ci viene imposto, neppure il diritto di nascere ci è lasciato, neppure tu l'hai voluto. Ma poi esisti? Ti ho incontrato realmente? Mi sembra quasi tu sia un prodotto della mia mente ormai consunta dal tempo e dal dolore, una mente riempita con ricordi altrui, con esperienze così scontate da sembrare perfino autentiche. Vedi, sto impazzendo, non so più quale sia il confine tra ragione e pazzia, tra il vero e la menzogna, tra me e te. Ma forse siete tutti voi i pazzi a credere nella singolarità e nell'individualità della vita, e io rappresento l'unico baluardo della verità universale, e non devo piegarmi ad un ipocrita e bigotto senso di comunità. Voglio raccontarti una storia, ragazza dei miei sogni, ancora poco e poi ti lascerò libera. Vi era in un paese lontano un Re, che governava con tranquillità ed era benamato da tutti. Un giorno, in questo paese arrivò un ladro, che seminò confusione e paura. Il Re, lo fece arrestare e lo mise in prigione. Purtroppo, riuscì a fuggire e volle vendicarsi: versò del veleno nell'acqua del pozzo da cui tutti bevevano. All'indomani i paesani bevvero l'acqua e impazzirono, impazzirono anche le guardie del Re; solamente il Re non ne bevve e restò normale. Per qualche giorno tutto andò normalmente, poi la gente cominciò a notare uno strano comportamento del loro monarca. Iniziarono a dire che l'imperatore era impazzito e si comportava in modo strano, ma in realtà i pazzi erano loro. In breve, il sovrano capì tutto, e per non perdere il trono andò anche lui a bere dal pozzo, e come gli altri impazzì. A questo punto i paesani tornarono felici, il loro Re era tornato normale e saggio come prima. Mia cara fanciulla, per quanto stupida possa essere nasconde un grande significato, spetta a te scoprirlo, per quanto mi riguarda, non riusciranno mai a farmi partecipe della loro pazzia, non riusciranno mai a farmi tornare normale. Chi è più pazzo, il pazzo o chi gli sta intorno? Ora il mio tempo è finito, e non mi è concesso di dire più molto, non mi è concessa più molta strada, le sacre parche si sono stancate di filare il filo del mio destino, la mia vita è giunta al termine, al capolinea. Immagine della mia mente, non piegarti al destino, sebbene tu non lo possa cambiare, non accettarlo con passiva remissione, opponiti con tutto il tuo essere affinché di te possa sempre essere detto: ha vissuto. Continuo a camminare, distraendomi volutamente da ciò che vedo, dagli alberi brulli, da ciò che il parco vuole trasmettermi. Avrei continuato a camminare, con mesta determinazione fino a quando gli Dei me lo avrebbero permesso.
Nota dell'autore: non so bene quale stimolo mi abbia spinto a scrivere un simile racconto; non è certo nello stile degli altri, né altrettanto dinamico. Probabilmente qualche attimo di smarrimento, o forse l'immodestia di poter disquisire su temi meno frivoli del solito. Comunque, ringrazio quanti l'hanno apprezzato, e a maggior ragione quanti non lo hanno apprezzato, per aver avuto la pazienza di continuare la lettura fino a qui. |
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