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5 - Delirio Non so se questo possa, nella sua più cupa grettezza essere definito un lascito memorabile alla storia, passata o futura che sia, ma è ciò che l'ultimo spiraglio della mia anima incastonata nel palinsesto dell'esistenza terrena, può nel suo claudicante esistere lasciare a voi. Ed io, pure di essa, parte integrante e riflesso metafisico, quasi per mistico volere mi ritrovo ad essere misero pseudopodo, che separato con un taglio netto continua a dibattersi non per proprio volere, ma per reazione nervosa governata unicamente dall'impeto muscolare, non dal dettame spirituale. Seppure, come ultima volontà mi sia concesso alfine narrare i turbamenti e le ragioni di cotal errare nell'anticamera dell'inferno, e possa io nella più bieca umiltà e nello stillicidio di questa mia oscura esistenza arrivare a voi come forse non pensereste possibile, ma come certamente, sebbene nelle più grette sembianze, umanamente concepibile. E voi informi presenze dell'olimpo divino, a me si tali apparite da poter quasi essere svestite dei vostri costumi mortali, inserendosi per sommo volere nell'intarsio divino della perfezione umana. Ma poi chi a diritto supremo può reclamare il titolo di umano se non il dotto, che segue le secrete cure che l'umano spirito affollano in migliaia e migliaia descrivendo un ellisse che per geometrico editto è costretta a richiudersi a se. E forse che questo nebuloso parlare possa mitigare l'oscuro dolore che l'oblio relega nel più inaccessibile anfratto della mia essenza, ma che l'esacerbata pietà di cui tutte le creature sono permeate fa riaffiorare e pone ad epitaffio dell'anima. Proverò invero ad esser chiaro nel oscurità dell' animo, ad essere giusto nell'ottusità della vita, ad esser gaio nella bellicosità di sentimenti che avvolgono la complessità dell'intelletto. O quanto invidio lo stolto che possa escludere i tormenti che non riesce a comprendere, a materializzare, in quel mondo schietto e puro d'una purezza che solo l'incoscienza può garantire. Sebbene mi sforzi, non riesco a capacitarmi della mia esistenza, non riesco a distinguere le giornate nel loro squallido torpore, il giorno e la notte fusi in un indistinguibile gozzoviglio che ci ostiniamo a chiamare vita. Neppure ora, dopo aver sperimentato la nemesi di cui ciascuno si fa carico, per scelta propria o altrui, fino a compire l'esatto dettame che il Fato, ha già scritto per noi nel libro divino. E così mentre l'orologio continua la sua corsa nel più cupo dei silenzi, la lancetta posta ad obelisco del mondo che, dalla notte dei tempi prosegue il suo folle cammino, indisturbata, inevitabile, si abbatte come un implacabile mannaia sullo sventurato di turno. Forse neppure il tempo di terminare questo scritto mi è dato, forse neppure il tempo di terminare quest'affanno, quest'ultimo respiro del mio essere, che lasci nell'aere una minuscola parte di qualcosa che ha vissuto in me. Ma anche se inutile so che devo tentare, tentare... ma cosa significa poi tentare se già tutto è stato tentato, già tutto è stato, forse che l'impossibile sia l'ultima possibilità all'infuori del probabile? No, oramai il mio delirio rasenta la pazzia, e la mia pazzia rasenta quell'insieme di proposizioni, di fatti di stati d'animo che agli occhi dei più appare come realtà, ma che solo la loro cecità può riconoscere come tale. Non comprendo più il tempo come viene umanamente inteso, non posso più vivere, come viene umanamente inteso, non rientro in ciò che la mente umana può comprendere. Eppure prima di porre fine a tutto, voglio oppormi all'essere risucchiato da quell'interstizio informe che tutti aborrono e rifuggono, quella parte ignobile eppure reale che tutti possiedono nella loro anima, a cui ostentano la più fredda opposizione a lasciar emergere dal subconscio all'io, quella porzione irrazionale dell'essere che viene menzionata dai più come il MALE. Continuo, con la forza che mi è data dal saper di essere il solo ed unico possibile rimedio a ciò che iniziò nello stesso istante in cui tutto finì. E che io non possa esser creduto, mi sia da condanna terrena ed incornici la cecità del volgo nell'ineluttabilità della grettezza della loro anima; sia io allora marchiato dell'infamia di eretico, sebbene la mia eresia rasenti la saggezza dei Sapienti. Ma un monito voglio lasciare prima che la falce del Tristo Mietitore si abbatta sul mio essere, un segno a chi avrà il coraggio di incamminarsi in un percorso in cui tutte le umane leggi sono stravolte e le certezze divengon dubbi; un luce, che lo guidi nell'oscurità di un mondo in cui gli occhi non possono vedere. L'anello di congiunzione tra l'uomo e il Supremo, dove il pensiero è energia e l'energia materia, dove basta lasciar sfuggire un istante l'io, lasciar che la mente vada per associazioni libere per causare cataclismi di una tale entità che neppure la natura nel suo più sconvolgente manifestarsi può lontanamente eguagliare. Provate a pensare cosa vuol dire non essere padrone della propria mente, dover incanalare i propri pensieri lungo due soli binari, in un percorso tracciato con tale determinazione da occultare ogni eventuale sbocco, da cui non ci si può staccare neppure per una frazione di secondo; il tempo necessario per annullare un mondo intero. Qual potere è celato in questo mio esile corpo, in questa mia misera anima, ove qual più remoto vagito si trasforma in energia e poi in materia, causando terribili eventi; ogni mio pensiero, ogni mia aspirazione, ogni stato d'animo, si ripercuote sul creato amplificandosi infinitamente, devastando la materia che incontra come un ciclone. Sebbene ci sian voluti immani sforzi, son ora riuscito a controllare l'incontrollabile, a plasmare l'impulsività del pensiero, ad appiattire le sfumature della mia mente, ad annullare l'imprevedibile. Mi sto rendendo conto che iniziate a comprendere, ed io a divenire più chiaro nel narrare quale minaccia rappresenti per il mondo, come da voi viene inteso; un solo istante, una minima disattenzione, e poi solo il nulla. Fui io il primo a rendermi conto della mia pericolosità, e ad iniziare l'opera di autoannullamento, come io la definisco. Dapprima, i sentimenti, la sezione più burrascosa del mio spirito, quella più travagliata, e quindi la più minacciosa. Poi, il pensiero nella sua essenza più profonda, nella sua inaccessibile recondità; ed infine la parte irrazionale, quella che nessuno di voi conosce ma che risiede in ognuno: il subconscio, lo sconosciuto. Più mi addentravo nell'autoestinzione, e più mi accorgevo che il mio potere aumentava, ogni piccolo dettaglio diveniva sempre più importante, acquistava sempre più peso, scatenava sempre maggiore energia, come diminuivano le variabili del mio essere aumentava di pari passo il valore di ognuna di esse. Ora, non posseggo più pensiero, volontà, intuizione, coscienza, non ho più l'anima, ho raggiunto il nulla, io sono il nulla; essendo stati eliminati tutti i fattori determinanti di questa mia singolarità, l'unica condizione possibile è divenuta quella detentrice di tutta la forza distruttiva che prima era divisa tra più eventi, e quindi la benché minima alterazione di questa realtà avrebbe conseguenze enormi. Infine eccovi al dilemma: io, ora che sono il nulla posso cessare di esserlo senza introdurre nessuna perturbazione seppur infinitesimale in quello che ero? A voi posteri l'ardua sentenza, mi rimangono pochi istanti di vita, quelli necessari per terminare questo mio affanno; vi auguro che la mia estinzione non sia tale da scatenare l'inarrestabile flagello legato all'oscura forza racchiusa in ciò che ero. Eccomi informi maligne presenze, ma sia che cosa questa mia ultima volontà se non un ignobile atto di egoistica tirannia, amorale e dispotica verso la più piccola delle proprietà dello umano spirito: la vita. Noi creature eterne non possiamo venire eliminate, seppur non ne segue fusione ad altra immortal forma, così che l'elisione dia adito ad altro disegno. Io finisco, ma permango in diverso tempo et forma et sostanza. Ordunque alfine io cesso. |
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