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7 - Un tranquillo venerdì Ero sicuro che non fosse un giorno normale, che qualcosa di insolito e impalpabile aleggiasse nell'aria. Non era un venerdì qualunque, non era il preludio al solito week-end: vi era come un'arcana forza superiore che dominava l'ambiente. I fogli impilati con ordine accanto alla macchina da scrivere, il cestino vuoto, ed io, accanto a lui. Lui non è nessuno: un filosofo fallito, ex professore di fisica senza aver conseguito la laurea, improvvisato giornalista, un passato anonimo in redazione di qualche oscuro quotidiano e una cultura generale comunque lodevole. Nulla di significativo al suo attivo: intrinsecamente libero, single per antonomasia, libero da qualsiasi legame in passato, con qualche ripensamento ora. Io del resto non posso che presentarmi come un amico, una presenza da anni vigile sulle pazzie arteriosclerotiche di un essere ormai perso nel delirio della sua esistenza. Ma ci sono abituato e, tutto sommato, mi sono affezionato alla singolarità dei suoi ragionamenti. Del resto come posso abbandonarlo? Sono il suo unico punto di contatto con la realtà. Certamente, non si può considerare sano di mente uno che passa un'intera giornata a chiedersi, se, un pene di quindici centimetri in grado di sollevare un carico di seicento grammi, posto sulla sua sommità, sia equiparabile per potenza sessuale ad uno di venticinque che solleva un chilogrammo. Ma questo fu proprio il motivo di discussione di quella sera. Io, sostenni che il momento esercitato sui due membri non è lo stesso: essendo il secondo di maggior lunghezza, dovrebbe essere gravato da un peso minore (inferiore ai quattrocento grammi) al fine di ottener lo stesso momento. Ma lui ribatté che essendo più lungo è anche più robusto, ovvero dispone di una sezione e di conseguenza di un volume maggiore e quindi, ammesso di equiparare i due carichi specifici, il peso sopportabile risulterebbe maggiore nel secondo caso. Non stiamo parlando di flessione del oggetto in questione, ribadii, nel qual caso varrebbe sì la sezione, ma di carico sopportabile senza cedimenti alcuni, e questo porta il discorso al fulcro della leva in questione. Il vincolo, è alla base dell'inguine, per cui è solo quella la sezione che sopporta l'intero carico moltiplicato per il braccio della leva; e visto che il secondo tipo di leva è svantaggioso rispetto alla prima è chiaro che la seconda resistenza deve essere inferiore alla prima, pur tenendo conto della maggiore sezione. Ma non lo convinsi. Comunque, non è il caso di riportare l'intera discussione; spero solo che questo breve accenno possa convincervi della completa infermità mentale del soggetto. Ciononostante quella sera, mentre la discussione stava proseguendo echeggiò il campanello d'ingresso. Echeggiò è proprio il termine esatto, perché va detto, per dovere di cronaca e per sottolineare ulteriormente il suo stato mentale, che il suono del suddetto campanello è la riproduzione reale della nona sinfonia di Beethoven, completa di tutti gli archi, viole e violoncelli. Che c'è di strano dite? Beh, forse che i 101 strumenti dell'orchestra filarmonica di Vienna che producono un onda sonora della pressione acustica di 115 dB, sono eccessivi, soprattutto se riprodotti in perfetta quadrifonia, in un ambiente di venti metri quadrati. Superato lo choc comunque mi decisi ad andare ad aprire, e allora capii che il brivido che avevo provato lungo la spina dorsale durante l'ouverture della Nona, non era che il preludio al tremito convulso che mi fece quasi cadere a terra quando sulla soglia di casa mi trovai di fronte ad un ammasso peloso di due metri (di larghezza) per uno e quindici (di altezza). Resistetti alla vista, dando prova di un sangue così freddo, che mi fece gelare le vene. Mi sforzai di dare un significato reale a quella cosa semovente che mi si era presentata di fronte, e solo dopo un'attenta analisi, riuscii ad identificare una forma vagamente animale all'interno dell'ammasso di peli. Animale non è propriamente il termine esatto, ma non riuscii ad identificarlo in nessun altro modo, per quanto mi sforzassi non riuscivo a collocarlo con certezza in nessuno dei tre regni di madre natura. La cosa entrò in casa muovendosi non so in qual maniera, e la porta si chiuse. Si, la porta si chiuse letteralmente alle sue spalle, o per lo meno a quelle che in un qualsiasi essere umano sarebbero state le spalle, senza che ci fosse il benché minimo contatto con la massa pelosa. Non ci feci troppo caso allora, imputai il fatto ad una corrente d'aria; del resto non ero ancora riuscito a capacitarmi e a superare lo choc. Ma quello era solo l'inizio. Lui nel frattempo mi raggiunse e si fermo ad osservare la creatura che procedeva verso il centro della sala; per un attimo temetti che potesse essere sopraffatto da un infarto vista l'età e la salute cagionevole, ma non successe nulla. Restò immobile, con lo sguardo sornione fisso al centro del cubo peloso (se mi permettete il termine), e con un famelico ghigno dipinto sul volto, che lo solcava per tutta la sua lunghezza. L'essere allora parlò. Non era propriamente una voce, noi percepivamo il suo messaggio con tutto il corpo, come se fossimo avvolti dal suo discorso. Non è facile spiegare esattamente come avvenisse la cosa, ma riusciva a comunicarci una serie di emozioni, di odori, perfino la temperatura veniva influenzata dal suo dissertare; con una sorta di telepatia stava cercando di coinvolgere tutti i nostri sensi. Man mano che procedeva nella sua esposizione, passavo da un intensa euforia ad uno stato di completa apatia, dal sentirmi come avvolto in un ammasso fluido delicatamente profumato, al sentirmi svuotato internamente, mentre la mia mente seguiva il discorso della cosa. Tutto questo veniva percepito anche dal mio amico, lo capivo dalle espressioni del volto, il ghigno era stato sostituito da altre espressioni. Lo strano discorso di cui ci trovammo inaspettatamente partecipi fu circa questo: - Esseri inferiori (freddo e profondo stato ansioso) l'immaginifico Mahalla, è venuto da molto lontano (parlò sempre in terza persona) e quasi per caso capitato in questa vostra dimensione. Sebbene ne sia profondamente rammaricato, ora il gesto è stato fatto, e non può tornare indietro. Mahalla si rende conto del vostro stupore di fronte a tanta perfezione (grande euforia, profumo leggermente dolciastro), di fronte a colui a cui nulla e impossibile, a colui che comprende l'incomprensibile; capisce che vi sentiate delle nullità di fronte alla sua bellezza ed all'immenso potere che possiede. Ma questa è la realtà, la vera realtà, non quella che siete abituati a vedere nell'infinitesimità della vostra vita, quella universale e totale. Non era sua intenzione venire su questo mondo in questo tempo tra barbari, ma forse è stato un bene, soprattutto per voi. E' un bene che sia venuto ed abbia visto ciò che c'era da vedere; è un bene che abbia deciso di annullarvi dalla creazione impedendovi di far del male a voi stessi e ad altri (confusione, attacco di claustrofobia, conato di vomito). Mahalla potrebbe eliminarvi con un solo pensiero, ed è quello che intende fare, ma nella sua immensa magnanimità vi vuole concedere un ultimo desiderio. Avete un minuto esatto per decidere, prima dell'esecuzione. Prego.- Quell'ultima parola era stata pronunciata con tono autoritario, circondata da un aura di superiorità che ci lasciò ancora più inermi. Provai a guardare il mio amico, ma mi accorsi di non riuscire a muovermi, o meglio, non riuscivo a formulare la volontà di camminare, come se improvvisamente avessi dimenticato come si facesse. Non riuscivo a volerlo. Anche lui era immobilizzato. Il suo sistema nervoso rimaneva del tutto succube di Mahalla, segno che qualche neurone era scampato al flagello dell'arteriosclerosi che stava imperversando nel suo cervello. La telepatia stabilita dall'essere coinvolgeva anche noi; vi era una specie di legame simbiotico per cui, sebbene non riuscissi a girarmi per guardare il mio amico, sentivo che una parte di me era collegata a lui e purtroppo anche una parte di lui a me. Cercai di parlargli, per sapere se avesse qualche idea e, di rimando, mi rispose di non preoccuparmi, che avrebbe pensato lui a tutto. La mia sicurezza riguardo all'integrità dei suoi neuroni, si dileguò in quell'istante. Cercai anche di parlare a Mahalla per convincerlo a desistere dal suo intento, a risparmiare il nostro mondo, cercai di mostrargli i nostri lati positivi: la bontà, il progresso tecnologico, la coca-cola, il sesso. Qualunque argomento affrontassi, non riuscivo fargli cambiare idea: ci trovava tremendamente barbari, e voleva farci questo piacere: eliminarci. Nel frattempo continuava a scandire il tempo nelle nostre menti, ricordandoci quanto mancava alla fine dell'umanità. A dieci secondi disse l'equivalente sensoriale di - vi siete decisi? Mancano dieci secondi - al quale reagii irrigidendomi ulteriormente, per quanto fosse possibile. Non riuscivo a formulare nessuna ultima volontà, riuscivo solo a maledire quel venerdì sera ed il momento in cui avevo deciso di andare a trovare il mio amico. Ma fu a tre secondi dalla fine che il quadro della situazione mutò anzi si capovolse. No so se l'essere allentò un poco la sua presa mentale su di noi, o che cosa, fatto sta comunque che riuscii a ruotare il volto di quei pochi gradi che mi permisero di vedere il mio amico. La sua faccia aveva riacquistato il ghigno famelico di prima, aveva le gote paonazze e gli occhi luccicavano. Capii che aveva stabilito un legame con Mahalla molto più intenso del mio. Io del resto mi ritrovai ad assistere alla scena come un impassibile spettatore senza la minima possibilità di interagire sugli eventi che si prospettano. Riuscii solo a percepire una parte del flusso emotivo tra i due, a sentire solamente che il mio amico come ultimo desiderio voleva la risposta ad una semplice domanda cioè .... Quando mi risvegliai, non mi ricordavo più molto dell'accaduto, ero disteso sul pavimento, con una gran confusione in testa. Il mio amico era seduto alla macchina da scrivere e mi guardava sorridendo. Solo allora mi ricordai di Mahalla, e presi coscienza di essere tornato in pieno possesso delle mie facoltà; la terribile sensazione di essere governato da qualcun altro era scomparsa. Mi avvicinai cauto alla scrivania e chiesi cosa fosse realmente successo. Si gongolò tutto e con fare pomposo parlò. Disse che l'essere era affetto da uno stato di megalomania esasperata dal fatto di trovarsi chiuso in un corpo alquanto sgraziato (ricomincia con la sua psicologia pensai). Continuò sostenendo che bisognava colpirlo nell'intimo, lui si presentava come onnipotente, bisognava quindi porlo di fronte ad un semplice dilemma la cui soluzione gli era impossibile. - Ma come è possibile, cosa si può domandare, ad un essere che è in grado di controllare l'universo. Ad una essere che ha il pieno dominio sulle nostre menti, sui nostri pensieri, a... Mahalla?- Le sue parole furono pronunciate senza alterare minimamente il ghigno che le due labbra descrivevano incuneandosi e allargandosi all'inverosimile oltre le gote fino a lambire le orecchie. Pensai che doveva aver fatto molto stretching al viso per non subire stiramenti dei muscoli facciali nel produrre quell'espressione. Cercai di immaginarmi il nervo del trigemino che sale di lato alla bocca piegarsi per assecondare il movimento dilatatorio della bocca ... ma le sue parole mi riportarono alla realtà. -...quindi si è trovato di fronte ad un dilemma insolubile. Si è richiuso in se stesso per inseguire la soluzione ed è entrato in un circolo vizioso, da cui non ne sarebbe più uscito se non ammettendo la sua impotenza. Ma questo non l'avrebbe mai fatto, così è andato in cortocircuito e si è disintegrato, o almeno credo, visto che è sparito. Vuoi sapere che cosa ho chiesto come ultimo desiderio? Semplice gli ho detto che avrebbe fatto bene ad eliminarci, perché tutti i terresti sono bugiardi. Non è forse vero? - - Coosaa? - sentenziai, - Tu anziché cercare di salvarci, gli hai dato ragione spronandolo ad eliminare l'umanità dicendo che siamo falsi, ma come ti è venuto in mente? - Questa era la conferma della sua pazzia, oramai ne ero certo, l'indomani l'avrei fatto rinchiudere in qualche casa di cura. - Come al solito sei superficiale e non osservi il fatto dal punto di vista psicologico - - e ridagli - dissi fra me e me - Secondo Mahalla, e a ragione - continuò - io sono un terrestre, come tutti gli altri - non proprio come gli altri pensai - quindi quando asserisco che tutti i terrestri sono bugiardi, includo anche me stesso. Ora, se supponiamo che la mia asserzione sia vera, cioè che tutti terrestri sono bugiardi, io pure nella mia individualità dico il falso e quindi la mia asserzione proprio perché pronunciata da me non può essere vera. Ma, viceversa se diciamo che è falsa, significa che i terrestri dicono la verità (visto che è falso il fatto che dicano bugie), e quindi anche io dico il vero. Ma allora, se io dico la verità dicendo che tutti i terrestri sono bugiardi, allora sono pur'io bugiardo e ....- Capii che mi aveva incastrato in un paradosso da cui era impossibile uscire. - E - continuò - quando ho chiesto a Mahalla "non è vero?" lui si è sentito direttamente interessato alla domanda, ed ha cercato di rispondere, ha confluito tutte le sue energie nel cercare di risolvere il dilemma, e si è auto annullato inseguendo una risposta introvabile.- Lo guardai come mai avevo fatto prima, con una sorta di scorata ammirazione. Forse non tutti i neuroni erano impazziti, o forse l'incontro con quell'entità li aveva risvegliati dal torpore. Chi lo può dire? Di fatto da quel giorno, il mio amico avrebbe avuto tutta la mia stima ed ammirazione. Quando me ne andai, lui era impegnato a lavorare alla macchina da scrivere, batteva con una sola mano: nella sinistra aveva una bottiglia della sua birra preferita. Lo guardai chiedendomi come potesse rimanere così calmo, dopo quello che era successo, impassibile dopo che aveva salvato l'umanità. Sull'uscio mi rivolse un cenno di saluto rispettando il rituale che ormai lo contraddistingueva da anni, era una sua vecchia abitudine imparata in non so quale situazione, ma che non dimenticava mai di fare; alzava la destra agitando singolarmente le dita mentre imprimeva una lieve rotazione in senso orario al polso. Restai per qualche secondo imbambolato ad osservare quella posa mentre il ticchettio della macchina da scrivere riempiva l'ambiente. Uscii dalla porta con quel ricordo, il suo saluto, il ticchettio sommesso ed ininterrotto, la bottiglia di birra, il ricordo di quello strano venerdì, ed una sensazione di vuoto nella testa mentre la porta si chiuse alle mie spalle.
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