8 - Una questione di logica

Roberto Signori

8 - Una questione di logica

Il sentiero era scosceso: saliva con strette anse lungo il costone della montagna, zigzagando dapprima su pendii verdeggianti per poi scomparire all'interno della folta bo­scaglia che da li proseguiva fino ai tre quarti del monte diradandosi infine in qualche sparuto cespuglio.

L'uomo calcava con passo sicuro il sentiero, era chiaro che lo conosceva perfettamente, sapeva regolare il ritmo della progressione per assecondare i tratti ora pianeggianti, ora irti in un inarrestabile marcia. Aveva appena doppiato il punto in cui la boscaglia si sfoltiva, e si stava apprestando a superare l'ultimo tratto di pendenza prima di arrivare alla base superiore dell'ammasso roccioso che troneggiava sul costone sud. Sulla quarantina, di statura media, con un folto paio di baffi neri. Gli occhi piccoli e luminosi, i capelli che si diradavano sulle tempie lucide lasciavano il posto ad una fronte ampia, traversata da qualche ruga per tutta la sua lunghezza. Nell'insieme dava un senso di sicurezza e determinazione; il respiro ansante, la mente concentrata nello sforzo di coordinamento di ogni singolo muscolo.

Arrivato alla sommità delle rocce, si diresse verso il punto più alto, sotto il solito albero che gli offriva un comodo riparo dal vento e nello stesso tempo lo aiutava a distendersi ed a raggiungere il massimo della concentrazione. Come consuetudine, si sedette alla base e attese che il respiro si fosse normalizzato. Lo splendido panorama lo aiutava a raggiungere quello stato di interiorità e misticismo da cui riusciva a trarre il massimo risultato dalla sua mente, una mente che non lo aveva mai tradito portandolo ad una serie di brillantissimi successi.

Mentre le pulsazioni scendevano, i pensieri cominciarono ad affiorare da quella sezione in cui erano stati relegati. Cercò di evitarli, sapeva che doveva aspettare ancora qualche istante se voleva trarne il massimo risultato. Si concentrò sul paese sottostante che si snodava attorno alla sponda destra del fiume per i tre quarti, per terminare in una valletta secondaria, sulla sponda op­posta. Iniziava con qualche isolato insedia­mento e proseguiva con costanza, dilatandosi ed allargandosi verso est con geometrica proporzionalità. Il pensiero subito corse, stuzzicato da quella stessa proporzionalità, a racchiudere l'area urbana in un poligono, delimitandone il perimetro con linee immaginarie, racchiudendolo in una sorta di triangolo, senza lati o angoli simili, scaleno per definizione geometrica che aveva comunque la particolarità di conferire a quella struttura una dimensione metafisica.

Ora vedeva perfettamente il poligono che racchiudeva l'insediamento sottostante con geometrica precisione e si chiese se il paese non fosse stato realmente costruito seguendo un disegno primitivo di forma definita. Cercò di stabilirne il centro, valutando quale casa potesse fregiarsi a diritto di quel titolo, sezionando ipoteticamente gli angoli e tracciando le mediane per ricadere sull'esatta metà del lato opposto, alla ricerca del baricentro, il punto centrale per antonomasia. La sua mente di sublime fattura, non gli permetteva di fermarsi ad un analisi così grossolana, la psicologia del segreto ideatore del disegno non gli suggeriva una soluzione così semplice ed immediata.

La psicologia dell'autore del delitto era pa­rimenti complicata e geometrica, aveva una sorta di matematica analogia con quello che gli si prospettava davanti.

Scivolando delicatamente i pensieri torna­rono al vero motivo della sua presenza in quel posto; delicatamente tornarono e si costrinse ad analizzare per l'ennesima volta come si erano svolti i fatti, alle innumere­voli sfumature, a rianalizzare i fatti dall'ini­zio...

 

Ettore Schimberni entrò con disinvoltura lasciandosi alle spalle l'uscio intarsiato di stile ottocentesco del Mistery club. Non aveva particolarmente voglia di vedere qualcuno dei membri, era solamente la meno peggiore tra le alternative che gli si prospettavano per passare quel pomeriggio.

Il Mistery club, del resto era un luogo abbastanza esclusivo: lo garantivano i severi test attitudinali d'ingresso preparati dagli stessi affiliati. Il Mistery, a parte il nome di un certo misticismo, non aveva nulla di particolare, non offriva particolari agevolazioni e non era frequentato esclusivamente da vip, anzi veniva snobbato da questi che preferivano un altro genere di mondanità.

La particolarità stava nel fatto che vi potevano accedere solo individui dotati di un quoziente intellettivo di gran lunga superiore alla norma.

La giornata tipo si svolgeva attorno alla grande tavola rotonda del salone est, dove i misteriani si raccoglievano per cercare di risolvere l'enigma di turno presentato da qualcuno di essi.

Inutile dire che vi erano personaggi particolari: un quoziente di intelligenza elevato non sempre aiuta una persona nei rapporti interpersonali, anzi è quasi sempre causa di emarginazione. Non vi erano quindi particolari legami tra i membri se non la ricerca della soluzione di un quesito o, la ricerca appunto di un particolare quesito da proporre. Neppure l'arredamento era raffinatamente ricercato, se non per qualche tappeto persiano di rara fattura, ma ormai consunto, per il portone intagliato a mano e qualche quadro che faceva mostra di se sulle pareti delle tre principali sale del club, il resto era di infima fattura.

Per quanto riguarda le tre sale, la prima e maggiore era la est, quella riservata alla soluzione degli enigmi. Qualora qualcuno ne avesse uno da proporre, si recava in quel luogo ed esponeva nella bacheca il dilemma. Ogni fine settimana se ne vagliava il contenuto, ed effettuata la scelta, ci si radunava alla ricerca della soluzione. Gli enigmi potevano essere di varia natura, dalla matematica alla psicologia, ma quelli che andavano per la maggiore e che assegnavano il maggior punteggio erano quelli di logica. A fine mese, veniva redatta una classifica provvisoria e chi ne aveva risolti il maggior numero o comunque quelli più difficoltosi, alla fine dell'anno, veniva eletto Mister M.

La seconda, fungeva da biblioteca: una grande libreria raccoglieva tutti i maggiori testi su giochi matematici, test e paradossi, nonché una nutrita schiera di riviste specializzate nell'enigmistica.

Era una sala dove si potevano trarre spunti, o esaminare enigmi, senza per questo dover sottostare allo spirito di competizione della sala est.

La terza ed ultima camera del Mistery era quella dedicata allo svago, con bar, televisore e tavolini in cui ci si rilassava tra un problema e l'altro.

Ettore avanzò a passi decisi oltrepassando il bar senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti. Aveva deciso di non fermarsi perché lo irritavano i soliti discorsi da bar; lo irritava la stupidità e la inconsistenza dei ragionamenti che si facevano in quell'ambiente. La sua mente fredda e calcolatrice non trovava nessun legame con quel mondo, veniva al Mistery solo per il piacere che il puro ragionamento poteva garantire, lui frequentava quasi esclusivamente la sala est. Ciononostante, lo angosciava il fatto stesso di dover rimanere solo, senza compagnia, senza la presenza di qualcuno che ravvivasse per lo meno in senso visivo l'ambiente. Aveva quasi oltrepassato la sala quando venne chiamato da Diego. Questi, un giovane ragazzo che frequentava il quarto anno di un istituto tecnico, era solito bloccare le persone e rivolgergli a bruciapelo un qualche problema per vederne la prontezza di riflessi. Diego, che di cognome faceva Rosati, non brillava certo di originalità, quasi tutti i suoi "giochini" erano di seconda mano letti su qualche rivista specializzata o comunque raccontati da altri. Anche quel giorno, ricalcò il solito cliché interrogando Ettore: - Salve, vedo che stai andando nella sala est; non vorrei rubarti prezioso tempo, mi chiedevo solo se non vorresti essere così gentile da rispondermi ad una semplice domanda... - lasciò la frase a mezz'aria, volutamente per attirare l'attenzione del suo interlocutore, con un lieve sorriso sornione sul volto. Lo Schimberni lo guardò fisso negli occhi, era proprio l'ultima persona che desiderava incontrare, ma non poteva ritirarsi dopo che era stato direttamente interessato a dare la risposta, sarebbe stato imperdo­nabile per un membro del club. Rispose con malcelata irritazione - Cosa vorresti chiedermi? Uno dei soliti giochetti che ti hanno insegnato a scuola nell'ora di fisica o qualche aneddoto che hai letto sulla settimana enigmistica?- - Una semplice domanda. - fu la replica dell'altro - Sai dirmi quante uova fanno nove galline in nove giorni se si suppone che una gallina e mezzo faccia un uovo e mezzo in un giorno e mezzo?- Lo sguardo di Schimberni non mutò espressione, era tipico di quando si concentrava su un problema. Dopo pochi secondi esordì: - Questo è un passo in avanti rispetto a quello di settimana scorsa. Ma se era abbastanza banale risponderti il peso un mattone partendo dal presupposto che pesasse un chilo più mezzo mattone, non è di molto più complicato arrivare alla soluzione delle tue galline. In nove giorni fanno cinquantaquattro uova.- Lo studente restò immobile, non aveva certo messo in dubbio che ci sarebbe arrivato, ma sperava che impiegasse più tempo; lui l'aveva risolto in quasi quaranta minuti e non senza sforzo quando glielo avevano proposto. Ettore prese atto dello sbigottimento, si rallegrò e si diresse con passo fermo alla sala est: lui era il secondo nella classifica di Mister M.

Il dottor Mannoni che nel frattempo aveva assistito alla scena non poté trattenersi dal rimproverare Rosati: -Vedo che non hai ancora imparato a scegliere il pubblico per i tuoi show -.

L'altro gli rivolse una smorfia di disappunto.

- Pensi di incastrare lo Schimberni con questi semplici ed elementari dilemmi? Forse potevi avere qualche possibilità con il Fanti, che pur essendo molto valido in quelli di natura logica, non brilla altrettanto in matematica. Con Ettore,- e qui assunse un tono più pacato, come se stesse parlando a se stesso - le normali regole non valgono più, lui ha un universo tutto suo in cui vive, una dimensione irreale in cui tutto si svolge come lui vorrebbe. Non è certamente reale, ma quando lui si racchiude in questa ed elude il mondo come noi lo intendiamo, può fare quello che vuole, la sua mente si eleva ad un livello irraggiungibile nelle normali condizioni e quindi tutto diventa possibile: gli enigmi non sono più tali, diventano delle banalità. E' una sorta di auto convinzione, quando uno crede fortemente di essere qualcosa, lo diventa.-

Diego che aveva appena subito uno smacco dall'altro membro, non aveva la minima intenzione di stare a sentire l'analisi del dottore, si dileguò quindi incurante dello sproloquio dell'altro: Giovanni Mannoni era lo psicologo del gruppo.

Non era sposato, sebbene avesse passato i quaranta; aveva avuto una relazione con una donna per diversi anni, che però non era sfociata in nulla di più. Il dottor Man­noni come desiderava farsi chiamare, aveva ricoperto il ruolo di docente di psicologia per alcuni anni in una facoltà parauniversitaria. Nessuno al club lo chiamava col titolo, l'unico che rispettava l'etichetta era proprio Rosati, che passando buona parte della giornata a scuola era abituato a rispettare le gerarchie del titolo di studio. Sebbene non nutrisse una particolare stima per il dottore, gli riusciva naturale chiamarlo così.

Nel frattempo era arrivato anche Roberto Tarchetti, un impiegato di una ditta del settore informatico che non stava navigando in ottime acque. Erano note le traversie che stava attraversando, e le malelingue avevano già sparso la voce di un possibile fallimento; voci che regolarmente Roberto smentiva. Del resto aveva sempre rifiutato con una certa seccatura le offerte che i vari membri anche facoltosi gli proponevano, ed ora più nessuno dava retta al vociferare attorno alla fragilità della sua posizione.

Era un personaggio mite, di statura media, dotato di un buon senso dell'umorismo. A causa del suo carattere lunatico alternava momenti di grande felicità, in cui coinvolgeva chiunque gli stesse vicino ad altri di totale sconforto.

Tarchetti, o meglio Robi come tutti lo chiamavano, avanzò deciso fino al bar ed ordinò un amaro della solita marca: quello con cui si rilassava nelle giornate particolarmente nere. Renzo, che da anni assisteva a quel rituale, era seduto di fianco ed esordì: - Non ho potuto fare a meno di notare l'ordinazione; devo dedurre che non sei di ottimo umore. Cosa ti è accaduto?- - Nulla di particolare. Se non ti spiace vorrei essere lasciato solo, grazie.- Quell'ultima parola era stata pronunciata con il tono autoritario di chi non ammette repliche e Renzo, ac­cogliendo quell'invito ruotò sullo sgabello girevole al bancone rivolgendosi verso il centro della sala che si stava gremendo di persone.

Renzo che all'anagrafe risultava come Renzo Fanti era incuriosito dal quel particolare comportamento di gruppo ma, visto che anche da quella posizione riusciva a dominare con sufficienza la scena decise di assecondare il suo senso innato della pigrizia e rimase dov'era.

La sua massima per antonomasia era trarre il massimo risultato con il minimo sforzo, e di questa ne aveva fatto il suo ideale di vita. Inutile dire che rifuggiva qualsiasi genere di attività sportiva; non che gli altri fossero particolarmente atletici, ma comunque il Fanti era il poltrone per definizione. Col passare del tempo il suo fisico aveva parzialmente risentito di questa situazione: non era ingrassato e manteneva nonostante tutto una linea snella, ma aveva perso la tonicità muscolare.

Comunque sia, non prese neppure in esame il fatto di alzarsi per andare a vedere cosa succedesse: la curiosità veniva sedata dalla indolenza all'attività motoria.

Al centro della sala, si era riunito uno sparuto gruppo di persone accanto ad un individuo, il quale proponendosi nella parte di anfitrione stava intrattenendo i presenti con un enigma che gli era stato rivolto ma al quale non aveva saputo dare la risposta.

Renzo non riconobbe subito la persona, era affetto da un leggero presbitismo, gli ci volle qualche istante per identificare il relatore. Era uno dei nuovi adepti, forse anche per questo non lo aveva riconosciuto subito e non aveva ancora appreso in modo completo tutte le sfumature tipiche dei misteriani. Era già abbastanza umiliante dover ammettere di non riuscire a risolvere un problema, ma il chiedere l'aiuto di altri, era proprio l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare. Franco, adesso il Fanti lo aveva riconosciuto, non se ne preoccupava, per lui era molto più importante le ricerca della soluzione in sé, della verità che il prestigio nell'averla trovata. Non aveva ancora appreso pienamente le regole implicite dei soci, ed infatti ricopriva l'ultimo posto in graduatoria di Mister M. Ma questo per Alba Franco non aveva importanza, lui non credeva nell'individualità, tanto meno la sua, vedeva il Mistery come un collegio, una collettività, una singola entità con diritti e doveri comuni. Ma lo avrebbe capito col tempo, che lo spirito di competizione si esprimeva nei modi più subdoli ed a farne le spese sarebbe stato sempre lui. D'altronde era lì solo da pochi mesi, bisognava dargli tempo.

Alba raccolse i presenti in gruppo e disse: - Amici, ascoltate ho un interessantissimo quesito da porvi. Ho scommesso con amici che saremmo riusciti a risolverlo e quindi non dobbiamo perdere la faccia, ne va della nostra reputazione.- Parlava sempre al plurale, continuò così: - Il test è il seguente, cercherò di attenermi il più possibile a quanto mi è stato raccontato. Due amici stanno viaggiando in automobile, e ad un certo punto il guidatore chiede al passeg­gero di indovinare le età dei suoi tre figli. Questi risponde che ci proverà, ma che gli necessitano alcuni indizi. L'autista inizia col dire che il prodotto delle tre età da come risultato 36. Il passeggero replica che non è sufficiente, perché vi sono molte combinazioni che danno 36; l'altro allora gli indica l'autobus che in quel momento sta transitando davanti a loro e dice che la somma delle età è uguale al numero di linea di quel bus. Il secondo risponde che non è ancora sufficiente, e così sapete cosa dice il padre dei tre figli? Dice che il più giovane ha due occhi azzurri stupendi. A questa affermazione l'amico gli snocciola una dopo l'altra le tre età.- Ci fu un attimo di silenzio e poi riprese: - Ecco, questo è tutto. Quali sono le età dei figli?-

Diego che era il più irrequieto, forse anche per lo smacco appena subito, attaccò subito Franco: - D'accordo, ma se vuoi che te lo risolviamo devi darci tutti i dati in tuo pos­sesso. Innanzitutto quale era il numero di linea del bus che è transitato?- - Proprio qui sta il bello Rosati, non lo so. Anch'io gli ho rivolto la stessa domanda, e loro mi hanno risposto che quanto detto è più che sufficiente per arrivare alla soluzione.-

- Come sarebbe a dire? Io dovrei trovare tre numeri di cui il prodotto è 36 ma non ho nessuna indicazione sulla somma o su qualsiasi altro particolare? Stai scherzando spero!-

-Dimenticate che il minore ha gli occhi azzurri!- Si intromise Mannoni. Per un attimo Il Rosati fu sul punto di esplodere, ma poi riuscì a calmarsi. - Mi State prendendo in giro? E che cavolo me ne frega se ha gli occhi azzurri, verdi, o se è orbo. Non mi interessa un accidente, non vedete che l'ultima frase serve solo per confondere le idee?-

- Calma, un momento - intervenne Fanti, sempre immobile sul suo sgabello - procediamo con ordine, non escludiamo a priori nessuna possibilità.- Nel frattempo erano arrivati altri misteriani ad affollare quell'area della sala bar. Si potevano distinguere chiaramente i due fratelli Astolfi, Sergio e Luigi, titolari di un'agenzia viaggi, quella di cui si servivano solitamente i soci. Avevano due caratteri abbastanza simili sebbene fossero nettamente diversi nell'aspetto. Pelato e grassoccio il primo, sposato con due figli; magro e biondo il secondo, scapolo ma convivente con un'amica. Erano seduti ad un tavolino e non avevano potuto fare a meno di ascoltare la conversazione. Fu il maggiore dei due, Sergio a parlare per primo: - Renzo ha ragione. Non dobbiamo farci abbindolare dalle apparenze, ragioniamo con ordine e metodo. Innanzitutto, abbiamo tre proposizioni da analizzare. La prima cosa ci dice?- - Che il prodotto è trentasei. - Continuò il secondo - Non è certamente un numero scelto a caso. E' divisibile per uno, due, tre, quattro, sei, nove, dodici, diciotto e trentasei. Penso che non vi sia altro numero di quest'ordine di grandezza con queste caratteristiche. Comunque cerchiamo di annotare tutte le possibili combinazioni di tre cifre il cui prodotto sia quello indicato.- Mannoni si procurò carta e penna e si mise a scrivere, seguendo i dettami degli altri. - sei, sei, uno; tre, quattro, tre; nove, quattro, uno - snocciolò Rosati. - Procediamo con ordine ho detto - replicò il maggiore dei fratelli. Dunque uno, uno, trentasei; uno, due, diciotto; due, due, nove; due, tre, sei - Fanti intervenne - Hai dimenticato uno, tre, dodici - - Hai ragione, lo scrivo di seguito - asserì Mannoni - credo che non ve ne siano più.- I presenti analizzarono mentalmente le serie, ma non ne trovarono altre. - Dunque una di queste è quella giusta, ma quale?- si scervellò Franco. - Non riesco a capire cosa centrino gli occhi azzurri. Per me è un depistaggio - continuava a ripetere Diego.

- E poi la faccenda del bus, su cui c'è la somma ma che noi non conosciamo. - - Beh, potremmo pensare che il numero è quello della linea dell'autobus, ma questo non ci da nessun aiuto. Comunque se questa persona ha tre figli, è poco probabile, se non addirittura impossibile, che ne abbia uno di trentasei anni e due infanti di un anno. Lo stesso discorso vale per la terna diciotto, due, uno....-

- Sei il solito - lo interruppe Luigi - non devi cercare di risolvere l'enigma con questo tipo di ragionamento. Si deve risolvere con la logica e la matematica, non per supposizioni o ragionamenti condizionati dal nostro stile di vita.-

- D'accordo, comunque mi riesce difficile pensare con la sola matematica. E se vi fos­sero due gemelli? Anche quest'opportunità non è da scartare. E poi ci sono gli occhi azzurri. Che differenza ci potrebbe essere se fossero stati marroni?-

- Vi ho già detto che non serve a nulla quella frase. Più ci intestardiamo su quel punto, più perdiamo di vista l'obiettivo finale.-

In quel momento, Tarchetti che era sempre rimasto silenzioso e con le spalle rivolte al gruppo, si schiarì la voce e con tono autoritario esordì: - Franco, vai pure dai tuoi amici e dì che i tre figli hanno rispettivamente sei, sei e un anno.-

Tutti compreso lo sbigottito Renzo si girarono verso Robi. Fu il minore dei fratelli Astolfi il primo a parlare - Come ci sei arrivato? Se hai tirato ad indovinare, ti voglio subito dire che... - ma l'altro gli congelò le parole sulle labbra con un occhiata. Fece qualche secondo di pausa ad effetto, aveva sempre coltivato una sottile passione per la teatralità, ed iniziò: - Dunque, il problema va analizzato dal punto di vista dei due amici, e non di una terza persona, esterna alla situazione quale potremmo essere noi. Il passeggero, conosce il prodotto delle età, ma questo lo sappiamo anche noi; la prima cosa da fare è quindi quella di trovare le serie di tre numeri che diano trentasei.- - Ma questo è esattamente quello che abbia­mo fatto!- intervenne Diego. L'altro non nascose una certa seccatura per essere stato interrotto, quindi riprese - Ora, il nostro uomo conosce tutte le serie, ma non sa quale è quella giusta; chiede all'autista un secondo indizio, e qui subentra il tram. Noi dobbiamo seguire quello che avviene sulla macchina: l'uomo conosce il prodotto, vede il numero sul bus e quindi lui conosce anche la somma, ma non sa dare la risposta; è costretto a chiedere un terzo indizio. Ora io ho analizzato tutte le serie da voi proposte, e vi è un solo caso in cui pur conoscendo anche la somma non avrei potuto dirvi quale fosse quella giusta: il caso in cui due serie diverse abbiano lo stesso prodotto e la stessa somma. Dunque, uno uno trentasei da trentotto, uno due diciotto da ventuno, due tre sei ha come somma undici, tre tre quattro da dieci, uno tre dodici da sedici ed infine uno quattro nove mi da quattordici. In tutti questi casi, se io avessi saputo la somma, e il passeggero la sapeva, avrei potuto rispondere, ma lui non ha potuto farlo. Come mai? Supponiamo che il bus avesse tredici come numero di linea; vi sono due serie, quelle restanti ossia due due nove e sei sei uno la cui somma dei membri è appunto tredici. Questa è l'unica condizione in cui io sarei stato costretto a chiedere un terzo indizio. Ed arriviamo agli occhi azzurri: le due serie comprendono entrambe dei gemelli, la differenza è che mentre nella prima vi sono due gemelli di età inferiore ed uno maggiore, nella seconda la situazione appare ribaltata: vi è un fratello più giovane appunto e due maggiori. Con la frase il più giovane ha due oc­chi azzurri stupendi, si voleva solamente evidenziare che vi era un solo fratello più giovane. La serie esatta è quindi sei, sei, uno.- e detto questo si rigirò verso il bar sorseggiando il suo amaro. Robi era il nu­mero uno nella classifica di Mister M.

Lo sgomento di quella rivelazione venne interrotto dal suono della campana della sala est. Era raro sentirne il suono, Franco infatti non ne aveva mai avuto l'onore e non vi diede la dovuta importanza; veniva suo­nata solo quando si proponeva un enigma che coinvolgeva direttamente gli affiliati. In genere uno di essi si comportava da anfitrione ed esponeva la situazione agli altri seduti a cerchio alla tavola. Quando tutto era stato chiarito, si pronunciava il rien va plus, e da quel momento non era più possibile fiatare: il primo che presentava la soluzione, corredandola di tutte le spiegazioni del caso si aggiudicava la seduta. Era logi­co che la campana sottolineasse un certo livello di difficoltà e quindi la soluzione era correlata ad un notevole punteggio in clas­sifica; non a caso nella storia del Mistery vi erano numerosi esempi in cui l'enigma della campana come veniva scherzosamente chiamato aveva ribaltato la classifica prov­visoria assegnando il titolo finale a persone posizionante non propriamente in testa alla classifica.

Vi fu un generale spostamento verso la camera est, dove Ferdinando ritto di fianco alla campana stava aspettando i suoi ospiti. Accorsero tutti, e su indicazione del relatore, si accomodarono alla tavola. Si aggiunse anche l'ing. Fausto Marchetti, che era arrivato proprio in quel momento dalla biblioteca, dove era solito passare la maggior parte della giornata. Salutò i presenti con un cenno vago e si accomodò dove gli veniva mostrato. Quando tutti si furono seduti ed il brusio si stava placando, Ferdinando Pedretti, o l'anziano come veniva soprannominato, iniziò a parlare: - Cari fratelli, ho voluto riunirvi in questa sala per proporvi qualcosa di diverso dai giochetti cui siete soliti cimentarvi. Non a caso ho avuto la sfrontatezza di proporre un enigma della campana, diritto che mi spetta visto l'anzianità della mia presenza.- Solamente il più vecchio affiliato, in termini di età misteriana non fisica, poteva infatti avere questo onore, ed anche lui poteva farlo solo in determinate circostanze. - Permettetemi una scortesia, necessaria al fine di assicurare la correttezza nello svolgersi della prova. Dovrò bendarvi per qualche istante, solo lo stretto indispensabile a preparare la scenografia se mi consentite il termine.- e detto questo, prese una serie di bende nere e ad uno ad uno bendò i presenti. Una volta che tutti furono bendati riprese: - Vi chiedo di pazientare ancora pochi istanti. Ora signor Mannoni vorrebbe essere così gentile da togliere il cappello che indossa.-

- Non capisco per quale motivo. Tutti sanno che io lo porto sempre il cappello e non ...- - Per favore, se non fosse indispen­sabile ai fini del gioco non glielo chiederei.- L'altro acconsentì di malavoglia. Quindi Pedretti riprese: - Metterò sul capo di ognuno di voi un piccolo cappello colorato, non allarmatevi.- Mise a ciascuno un piccolo berretto, una sorta di papalina che copriva una piccola parte della testa, quindi tolse le bende e attese qualche istante per dar modo a tutti di osservare i compagni. - Come potete vedere, ognuno di voi indossa un cappello colorato. In tutto i colori sono tre: rosso, verde e giallo. Ciascuno di voi può vedere i berretti di tutti gli altri ma non può vedere il suo. Mi sembra inutile sotto­lineare che è proibito qualsiasi tentativo di "sbirciare" il colore del proprio copricapo. Anzi, questi sono di dimensioni tali da ga­rantire l'assoluta impossibilità di essere visti dal relativo portatore. L'enigma consiste nel determinare col puro ragionamento, il colore del proprio berretto e una volta scoperto, nel comunicarmelo. Io, passerò una volta ogni ora esatta, effettuerò un giro intorno alla tavola, ed in quel momento, se qualcuno saprà la risposta, potrà alzarsi in piedi ed aspettare che io lo interroghi. In caso contrario, io me ne andrò e tutto sarà rinviato all'ora seguente. E' molto semplice e mi aspetto da voi la massima correttezza. Nel frattempo starò in fondo alla sala mi preoccuperò che non vi siano irregolarità. Signori, se vi sono domande questo è il momento per porle, altrimenti, possiamo iniziare.- Attese qualche istante, e poi aggiunse: - Bene, non mi aspettavo di meno. Signori buon lavoro, ci rivediamo tra un ora esatta.-

 

Questo era ciò che gli era stato raccontato, nei minimi particolari, con diverse sfumature dai partecipanti alla tavola rotonda. Ferretti stava passando in rassegna mentalmente tutte le fasi che si erano susseguite in quel gozzoviglio, in quell'omogeneo insieme di particolarità. Aveva ora riacquistato la regolarità del respiro, aveva smaltito l'affanno della salita e si stava godendo il paesaggio che da quell'altura si poteva ammirare. Non riusciva a trovare il centro esatto del paese: le linee mediane si incrociavano in un punto in cui vi era un spiazzo erboso incolto; non era certo quello il baricentro, il punto designato, come non era ancora certa dell'identità dell'assassino. Certamente il punto si trovava all'interno del triangolo e certamente l'assassino era un affiliato del club. Era sicuro che fosse uno dei presenti alla tavola durante lo svolgimento dell'enigma. Ma chi? E come mai nessuno aveva notato nulla? Il detective tornò con lo sguardo al paese sottostante, provò a sezionare esattamente a metà i tre angoli del poligono che ineluttabilmente si era disegnato nella sua mente. Si costrinse a guardare l'ipotetico centro da ognuno dei singoli vertici, da prospettive diverse: da dove la bisettrice nasceva per andare a morire sul lato opposto. Provò ad immaginarsi l'incentro, la congiunzione di queste linee, per vedere la sua centralità nel paese. Analogamente, con quell'immagine davanti agli occhi, i pensieri scivolarono alla tavola rotonda, ad osservarne il centro da ogni singolo punto, da ogni persona seduta. La risposta poteva trovarsi solo vagliando attentamente una ad una le situazioni dei singoli affiliati. L'attenzione corse alla tavola, alla disposizione dei commensali, al colore che il signor Pedretti aveva volutamente assegnato ad ognuno.

I nove erano seduti in questo ordine: Roberto Tarchetti, Sergio Astolfi, dott. Giovanni Mannoni, Ettore Schimberni, l'ing. Fausto Marchetti, Diego Rosati, Renzo Fanti, Luigi Astolfi ed infine Franco Alba, di fianco al primo elencato. Era una vera e propria tavola rotonda: la solennità della scena veniva meno solo per la presenza dei simpatici copricapi che erano stati messi dal Pedretti. I cappelli rossi, più vistosi per la tonalità del colore erano toccati ad Alba Franco e al Rosati. Quelli verdi erano sulle teste del dottor Mannoni, dell'ingegnere Marchetti e i due gemelli Astolfi. I gialli infine erano toccati al Fanti, ad Ettore Schimberni e a Roberto Tarchetti. Per rendere più chiara la disposizione viene di seguito riportato uno schizzo:

 

La prima ora trascorse in perfetto silenzio. Non si riusciva a capire nulla dalle facce dei commensali; nessuno lasciava trasparire la minima emozione, come freddi calcolatori. Schimbermi appariva imperturbabile come sempre, isolato in quella sua condizione mistica di concentrazione. Il Rosati appariva abbastanza nervoso, ma questo era un modo tipico di procedere del soggetto. L'ingegnere che del resto era l'ultimo arrivato, era anche quello che sembrava più se­reno; non si capiva però se lo fosse perché era già giunto alla conclusione o se non avesse la benché minima idea di come procedere. In fondo lui era sempre stato un bonaccione, possedeva la fredda metodologia d'indagine tipica della sua qualifica e non si era mai preoccupato troppo per qualche dilemma, non si lasciava mai coinvolgere, era l'anti-Rosati per definizione.

Allo scadere della prima ora, Ferdinando Pedretti si presentò sulla scena. Effettuò una rivoluzione attorno alla tavola e quindi, ad alta voce mantenendo un tono pacato disse: - Se qualcuno conosce il colore del proprio berretto, si alzi in piedi.- E quindi ad una ad una sondò le facce dei presenti. Tutti chi in maniera più diretta, chi in modo più mesto risposero di rimando allo sguardo, ma nessuno si alzò. Il Pedretti prese atto della situazione e con una lieve smorfia sarcastica sentenziò: - Bene signori. Avete un altra ora per rifletterci. Arrivederci - e se ne andò.

Anche la seconda ora trascorse in maniera analoga alla prima, senza commenti, che del resto erano proibiti e senza che nessuno manifestasse alcuna emozione. Allo scadere della seconda ora, si ripeté il rituale dell'ora precedente: nessuno si pronunciò, ne a ra­gione ne a torto. Era chiaro che una volta che qualcuno avesse fornito una risposta, nel caso questa si fosse dimostrata errata sarebbe stato eliminato dalla seduta. Quindi si cercava di aspettare il più possibile, per avere il maggior tempo a disposizione. Come l'anfitrione se ne fu andato, rinviando nuovamente all'ora successiva il prossimo passaggio però, si notò una certa agitazione sulla tavola. Agitazione forse non è il termine proprio per descrivere quella situazione, ma si intuiva che qualcosa era cambiato. Tarchetti, che prima era crucciato, come del resto lo era stato per tutta la giornata, appariva più rilassato, emanava una aurea di rilassatezza, sembrava intimamente soddisfatto. Il dott. Mannoni che aveva continuato ciclicamente a passare in rassegna i cappelli degli altri, come a cercare qualche ispirazione, ora se ne stava con lo sguardo fisso nel vuoto, come se stesse seguendo profondamente un ragionamento. Solamente Diego continuava ad agitare convulsamente le mani. Questa situazione, si protrasse fino all'arrivo di Ferdinando, per il terzo passaggio. E a questo punto accadde qualcosa di insolito: l'anziano ruotò attorno al tavolo, chiese se qualcuno fosse in grado di pronunciare la soluzione e di risposta, si alzarono in piedi Fausto Marchetti, il dott. Mannoni, Tarchetti, seguiti da i due fratelli Astolfi, e dallo Schimberni. Pedretti fece ancora qualche passo, strinse le labbra in una smorfia e cadde a terra. Morto.

Questo quanto gli avevano raccontato. Dopo l'accaduto, era subito stato chiamato un dottore, che aveva redatto il certificato di morte per collasso cardiaco. Il tutto sarebbe passato inosservato, se non per l'ostinazione della moglie della vittima che, sicura della perfetta salute del consorte, aveva richiesto l'autopsia, per verificare l'effettiva causa del decesso. Da questa erano rinvenute nelle vene tracce di sali dell'acido cianidrico, ed in particolare cianuro di potassio, un potente cianurico capace di causare la morte in una decina di secondi. In breve tempo, il decesso per cause naturali, si era trasformato in omicidio. Ferretti era stato direttamente interessato del caso. L'autop­sia aveva inoltre rilevato un minuscolo foro come di ago nel collo, poco sotto la nuca, all'incirca un centimetro sotto il margine del colletto della camicia che la vittima portava al momento del decesso. Non si era potuto stabilire se quella minuscola puntura aveva qualcosa a che fare con il decesso, ma lui aveva voluto esaminare comunque il cada­vere.

Ferretti stava ripercorrendo con la memoria tutto quello che aveva fatto. L'indomani si era recato al Mistery, dove erano stati convocati tutti i presenti la sera del fatto. I soci stavano seduti nel locale bar, chi al bancone, chi sui tavolini; vi era un sommesso brusio che aleggiava nell'aria e sottolineava la tensione che regnava in quella sala. La voce si era sparsa in pochi istanti, come sempre in queste situazioni si rimproverò il detective, senza possibilità di appello. L'effetto sorpresa, veniva dunque meno, non poteva più essere sfruttato; bisognava agire parlando direttamente alle persone.

 

 

 

Un fruscio poco distante lo riportò alla realtà, ai suoi occhi apparve di nuovo il piccolo paesino sottostante, di cui aveva invano ricercato il centro geometrico. Ma tutto durò solo un istante, un sprazzo per poi ritornare più lucido che mai al Mistery ed ai suoi adepti. I vari personaggi gli passavano davanti agli occhi come quando li aveva realmente interrogati, aveva annullato il tempo, adesso era come se loro fossero li a ripetere quanto avevano precedentemente detto. Si concentrò sui momenti salienti.

 

 

 

Ferretti entrò con passo fermo nella sala, sentì tutti gli occhi addosso, aveva catalizzato l'attenzione mentre il brusio era cessato di colpo. Esordì dicendo: - Tutti voi sapete quello che è accaduto al signor Pedretti, quello che si pensava un semplice malore, si è tramutato in omicidio. Nessuno sta direttamente dicendo che qualcuno di voi è il responsabile, ma è chiaro che i sospetti interessino tutti i presenti quella sera. Gradirei sentirvi singolarmente in privato; io mi accomoderò nella sala est, quella in cui è avvenuto il decesso, e vi chiamerò a turno - e detto questo si diresse dove aveva detto.

Il primo ad essere sentito fu il dottor Mannoni. Ferretti gli chiese di raccontare cosa era avvenuto quella sera, evitando di trala­sciare anche i minimi particolari. Mannoni espose con chiarezza, fermandosi alla morte di Pedretti.

- Dunque, lei sostiene di essere rimasto seduto per due turni, e quindi di essersi alzato solamente al terzo, per quale motivo?-

- Beh, è abbastanza semplice, perché avevo capito quale era il colore del mio cappello.-

- E quale era il suo colore?-. - Glie l'ho già detto in precedenza, io indossavo un copricapo color verde.- - Dunque mi corregga se sbaglio: lei dice che in quell'istante sapeva quale era il colore, perché lo aveva dedotto tramite il ragionamento mentre non ne era a conoscenza un ora prima, visto che non si era alzato in piedi. E' esatto?-

- Esattissimo.-

- E sarebbe così gentile da espormi brevemente quale è la linea di ragionamento che ha seguito per pervenire alla soluzione?-

- Mi dispiace, ma non posso.-

Ferretti alzò lo sguardo dai fogli che stava scarabocchiando fino ad incontrare quello dello psicologo - Cosa intende dire esattamente con non posso?-

- Vede, lei non fa parte del club e quindi non conosce le regole. Per un misteriano, non esiste cosa peggiore del rivelare il modo con cui è giunto alla soluzione di un dilemma senza avere per questo alcun riconoscimento.-

- Vuole dire che lei rivelerebbe come è giunto alla soluzione al solo patto di essere riconosciuto vincitore? -

- Si.-

- Ma lei si rende conto che questo è un omicidio, non un banale giochino. Si rende conto che un uomo ha perso la vita forse a causa proprio di questo?-

- Me ne dispiace enormemente, ma parlo da misteriano e come tale non potrei mai venir meno ai nostri dogmi.-

- E come pensa che venga proclamato un vincitore, visto che la sola persona che poteva farlo è morta?-

- Questo è un particolare a cui non ho ancora pensato, ma si troverà certamente un modo. Un enigma della campana è sempre un enigma della campana.-

Ferretti tornò a guardarlo dritto negli occhi e chiese - E' stato lei ad uccidere Pedretti?-

- Detective! Non penserà di riuscire ad incastrarmi con questi mezzucci puerili. Forse Lei non lo sa ma io ho una laurea in psicologia, ed ho esercitato per dieci anni prima di abbandonare definitivamente. Pensa che con un banale test di primo livello fondato sulle reazioni nervose incontrollate, riuscirà ad incastrare l'assassino? No Ferretti, mi dia ascolto, ora lei è confuso di fronte a questa mia freddezza nel non voler rivelarle particolari nonostante la morte di un uomo. Io le appaio lucido e spietato, e si sta chiedendo se questa mia personalità potrebbe essere in grado di realizzare un assassino. No non potrei mai mi creda. Io sono solo il primo dei soci con cui lei ha fatto conoscenza. Le chiedo di rinviare le sue osservazioni su di me o su chiunque dei sospetti, alla fine, dopo aver ascoltato tutte le persone ed essersi fatto un idea più solida di cosa realmente sia il Mistery. Non faccia supposizioni affrettate, non dipinga figure astratte quando ha di fronte la concretezza della realtà. Lei è solito basarsi su indizi minimi, e da questi risalire alla verità; ricostruire un mosaico partendo dai più piccoli frammenti, e ricostruendoli ove non vi siano, per raggiungere una soluzione univoca. Vedrà che anche lei non si scoprirà molto diverso dai misteriani, sono sicuro che potrebbe essere un ottimo membro, uno dei migliori. Anche lei vero, deve avere momenti di pura solitudine, momenti in cui si rinchiude con la sua mente alla ricerca del sublime. Dove va Ferretti mi dica? In montagna? Certamente quella sua abbronzatura non deriva dalla vita cittadina che la sua professione la costringe a fare. Quando tornerà sulla sua montagna, nel suo angolo di paradiso? Domani, dopo aver ascoltato tutti i membri per chiarirsi le idee? Mi dia retta detective, questa volta è diverso, si deve rendere conto che la morte passa in secondo piano quando il gioco è ancora aperto.-

I due sguardi si incontrarono: gli occhi piccoli e luminosi del poliziotto e quelli grandi e profondi dello psicologo.

- Dottor Mannoni, forse lei non se ne rende conto, chiuso com'è nel suo mondo, ma qui è stato commesso un omicidio, e volente o nolente io troverò il colpevole. Non so se queste affermazioni sono dettate dal suo intimo o non sono altro che un mero tentativo di intimorimento, comunque una cosa è certa, il colpevole verrà punito ci può scommettere. Quanto a lei, si preoccupi della sua posizione piuttosto che darmi consigli su come debba procedere; la complicità in un omicidio può avvenire anche tacendo la verità. E detto questo, fece uscire Mannoni.

Rimase qualche istante da solo a ripensare ai fatti, quindi chiamò il prossimo.

Fu la volta dell'ingegnere. Marchetti Fausto, entrò con passo fermo e sicuro. Ferretti lo fece accomodare e quindi gli chiese di raccontare la storia dal principio. Questi confermò le parole di Mannoni.

- Dunque ingegnere, lei non ha notato nulla di strano, nessun movimento particolare, un gesto inconsueto fatto da qualcuno dei presenti poco prima del decesso?-

- No ispettore, le ripeto che fino a quando ci siamo alzati, non ho notato nulla. E neanche dopo a dir la verità. Ci siamo alzati io e Mannoni, seguiti quasi subito dal Tarchetti e poi dai fratelli Astolfi. Infine anche lo Schimberni. Questo è quanto ricordo. Gli altri sono rimasti seduti, probabilmente non avevano capito di che colore era il loro cappello.-

- E lei si?-

- Certamente, a quel punto, io sapevo perfettamente quale era il mio colore.-

- E mi spiegherebbe come sarebbe giunto a questa conclusione?-

- Non potrei mai detective. Nel modo più assoluto, almeno finché non si dichiara ufficialmente il vincitore oppure la fine e l'annullamento dell'enigma della campana.-

- Sicché lei non sente nessun rimpianto per la morte di un uomo?-

- Si, non sono così cinico. E solo che l'essere nel bel mezzo di un test presuppone implicitamente l'osservanza di certe regole, è la legge del club.-

- E chi può stabilire il vincitore?-

- L'unico che può farlo è chi ha proposto il gioco.-

- Dunque Pedretti. Ma ora che è morto non pensa che questo enigma debba essere annullato, visto che non esiste la possibilità materiale di proclamare il vincitore?-

- Potrebbe essere una soluzione, ma non è detto che sia l'unica.-

- Bene signor Marchetti, lei non ha visto niente e non vuole espormi la sua linea di ragionamento. E' lei l'assassino?-

- No, nel modo più assoluto, non avrei avuto nessuna ragione per uccidere Ferdinando.-

- Nel modo più assoluto - ripeté - Era molto amico di Pedretti? -

- Ottima amicizia, come per ogni altro membro del club. Per me sono tutti soci con uguali diritti e doveri, è come una grande famiglia. Del resto à logico che mentre è in corso la soluzione di un enigma, ognuno pensi per se in modo da arrivare per primo alla soluzione. Ma non c'è malizia o cattiveria solo un sano spirito di competizione.-

- Tale da spingere in determinate condizioni a commettere un omicidio.-

- Santo cielo detective. Forse lei è abituato a vivere a contatto con assassini e delinquenti, ma questo non è certo un ambiente simile. Non pensi che siamo pronti a tagliarci la gola l'un l'altro solo per qualche enigma. Glie l'ho già detto, sano spirito di competizione.-

Il detective lo fissò per qualche istante - La ringrazio, può andare - e lo pregò di accomodarsi fuori. Rimase qualche momento a pensare, anche lui aveva il colore verde, questo significava qualcosa? E che dire della riservatezza delle loro posizioni, che si volesse nascondere qualche fatto? Con questi interrogativi nella mente venne fatto accomodare il terzo uomo: Roberto Tarchetti.

Anche a lui vennero rivolte le solite domande di rito.

- Per quale motivo si alzò dal tavolo signor Tarchetti?-

- Mi sembra logico, perché sapevo qual'era il colore del berretto, e così aveva detto di fare Pedretti. Mi aspettavo che da un momento all'altro ci chiedesse di rivelare i rispettivi colori, ma la morte lo colse in quel preciso istante.-

- Lei che colore aveva?-

- Il giallo.-

- E come era riuscito a stabilire di avere quel colore?

- Non è difficilissimo ispettore. Lei naturalmente sa che io non glielo potrei mai rivelare, sarebbe quasi peggio che l'aver ucciso il nostro povero anfitrione.-

Ferretti stava incominciando a farsi un idea della strana mentalità dei misteriani.

- E lei, non ha notato nessun movimento sospetto?-

- Sinceramente no! Ero intento a meditare. Non mi sembra di aver notato nulla di particolare. Io sono di solito un attento osservatore, mi piace guardare le espressioni della gente. Ettore aveva alzato una mano, Renzo si stava grattando la testa, sembrava sconsolato, e Franco Alba continuava a scarabocchiare i fogli di carta che aveva avanti. Gli altri non mi ricordano nessuna espressione particolare, forse Rosati era un po' irrequieto, ma lui è sempre nervoso.- Restò qualche secondo a meditare se avesse dimenticato qualcosa poi aggiunse - Mi spiace.-

- Lei è attualmente il numero uno nella vostra graduatoria. Se qualcun altro avesse risolto questo enigma, avrebbe potuto scavalcarla in classifica. Questo potrebbe essere un ottimo movente per mettere a tacere l'anfitrione e quindi annullare il gioco.-

- Forse dal suo punto di vista. Ma io non avrei certamente perso perché sapevo la soluzione, e comunque, non è ancora detto che il gioco sia da ritenersi annullato.-

- Dunque non ha ucciso lei Pedretti?-

- No!-

- E a sua discrezione chi potrebbe aver avuto dei motivi per farlo?-

- Non saprei ispettore. Non riesco ad immaginarmi nessuno dei misteriani nella scomoda veste di assassino. -

- Neanche per un enigma della campana?- Stava giocando sul loro terreno.

- No, neppure per un enigma della campana.-

- Vada pure.-

Uscì silenziosamente, lasciando l'ispettore immerso nei sui pensieri. Quando la porta si fu chiusa prese nota di alcuni particolari della conversazione quindi chiamò il maggiore dei due fratelli Astolfi: Sergio.

Entrò ed avanzò fino alla scrivania. Ferretti lo invitò a sedersi ed iniziò:

- Signor Astolfi lei ha qualcosa da dirmi riguardo alla morte del signor Pedretti?-

- Beh, io non ho visto nulla di particolare, mi sono alzato al terzo turno perché pensavo di conoscere il mio colore. Tutto qui, non mi è sembrato che ci fosse nulla di particolare.-

- Perché pensava di conoscere il suo colore? Vuole forse dire che lei ancora adesso non sa quale colore le era stato attribuito? Non ha ceduto alla tentazione di togliersi il cappello e guardarlo, una volta che è accaduto l'incidente?-

- Non ho detto questo. Voglio solamente dire che in quel momento pensavo e ne ero matematicamente certo, o meglio lo credevo, di avere un determinato colore. Quando poi, dopo la morte dell'anfitrione e nella baraonda che ne è seguita, ci siamo tolti i copricapi, mi sono accorto che il colore non era quello giusto. Avrei potuto anche barare, e dirle che avevo indovinato, ma questa è la verità.-

- Capisco. Lei era in piedi, perché era sicuro di avere la soluzione, ma non sapeva di avere fatto un errore. - Sapeva che era inutile domandare il criterio con cui era pervenuto alla determinazione del colore, quindi evitò la domanda. - Era buon amico della vittima?-

- Io e Ferdinando giocavamo qualche volta a golf insieme e ci si vedeva qui al club. Lo avevo conosciuto qui ed eravamo buoni amici. Sono rimasto profondamente turbato dalla sua morte. Pensi che si è accasciato proprio alle mie spalle. Pensavamo ad un malore, poi ci siamo accorti che era morto. E' stato uno choc. Il dottore aveva detto che la causa era da attribuirsi ad un infarto, già di per se un fatto terribile, ma poi quando si è saputa la verità la situazione è diventata ancora più pesante.-

- Non ha nessun sospetto su qualcuno dei sui colleghi?-

- No. Non riuscirei mai a pensare che il colpevole sia uno dei presenti.- Era in uno stato di profonda emozione, e il detective decise di interrompere l'interrogatorio. Lo lasciò uscire per proseguire con un altra persona. Fu il turno di suo fratello.

Luigi apparve più sereno, forse perché meno legato alla vittima oppure perché meno emotivo.

Si sedette con naturalezza, non sentendosi per nulla a disagio.

- Buon giorno, signor Astolfi. Mi vuol dire per quale motivo lei è socio del Mistery?-

- Nessun motivo in particolare. Mi piace tenere in allenamento le cellule grigie del mio cervello, e così mi diletto nel cercare la soluzione di enigmi, e quiz di vario genere. Quando ho scoperto che esisteva un club, il cui unico scopo era proprio questo, non ci ho pensato due volte ad iscrivermi. Direi che l'unico stimolo è stata la passione per il puro ragionamento deduttivo.-

- Non conosceva nessun misteriano - era un po' seccato ad usare quel termine, ma ora­mai era calato nella realtà del Mistery - prima di diventarne socio?-

- No! Mi aveva parlato del club un mio amico, ma anche lui ne aveva a sua volta sentito parlare da altri, non era nulla di sicuro. Così sono venuto qui direttamente e mi sono informato.-

- Quindi Pedretti lo ha conosciuto qui-

- Esattamente.-

- Le dispiace riassumermi esattamente quello che è successo al terzo passaggio della vittima?-

- Dunque, ai precedenti passaggi, non si era alzato nessuno, come Ferdinando arrivò la terza volta si mise a camminare attorno al tavolo, in senso orario mi sembra. Si alzarono quasi insieme Mannoni, Marchetti e Roberto, voglio dire Tarchetti, poi fece ancora qualche passo e quando arrivò dietro di me, mi alzai. Continuò a camminare, e quando fu vicino a mio fratello, anche questi si alzò. Sembrava quasi che quando ci arrivava dietro, ci esortasse ad alzarci, era una questione psicologica, penso che non ci volessimo sentire in inferiorità rispetto agli altri. Magari anche se non si aveva una soluzione sicura vedendo gli altri già in piedi e Ferdinando lì dietro, ci si alzava comunque. Quando arrivò vicino allo Schimberni anch'esso si alzò. Fece ancora circa un giro, prima di cadere a terra, morto.-

- Lei la soluzione la sapeva o si è alzato solo per soddisfare il suo complesso di superiorità?-

- Io sapevo la soluzione. Ma penso che tutti quelli che si alzarono avessero una soluzione più o meno giusta. Non intendevo dire che qualcuno si fosse alzato pur non avendo la più pallida idea di che colore portasse. Sarebbe imperdonabile per uno del club un simile comportamento. Però, in quel frangente, con alcune persone già in piedi, una soluzione anche se non inconfutabile e matematicamente sicura, avrebbe spinto ad alzarsi.-

- E' stato lei ha commettere l'omicidio?-

- No, certamente. Non riuscirei ad uccidere nessuno.-

- Può andare.-

Mentre usciva l'ispettore guardò la lista dei misteriani. Gli mancava solo Schimberni per terminare il gruppo di quelli che si erano alzati. Aveva scelto di iniziare gli interrogatori proprio da questi, rispondendo ad un impulso che il suo istinto gli aveva inviato. Diede un ultima scorsa alla lista quindi chiamò Ettore Schimberni.

Ferretti aspettò che si fosse seduto quindi chiese anche a lui di raccontare i fatti di quella sera.

L'altro confermo quello che era stato detto in precedenza.

- Dunque anche lei non ha notato nulla di sospetto, da parte di qualche commensale.-

- Esattamente.-

- Le posso chiedere per quale motivo lei è stato l'ultimo ad alzarsi?-

- Non lo so con precisione. Ritenevo di dover riflettere ancora qualche istante prima di alzarmi. Volevo essere sicuro delle mie ipotesi ed evitare di sbagliare.-

- E le sue supposizioni si sono rivelate esatte?-

- Direi di si. Ma non mi chieda di rivelargliele.-

- Lei che colore aveva? -

- Io indossavo un copricapo giallo.-

- Un cappello giallo...- Ferretti si estraniò un attimo inseguendo un qualche remoto pensiero. Poi riprese - Lei era buon amico della vittima?-

- Ero amico si. Ci vedevamo qui al club e poi lo conoscevo da qualche tempo. Non era il mio migliore amico, se è questo che intende, ma comunque neppure una persona da uccidere a sangue freddo.-

- E quali sono le persone da uccidere a sangue freddo?-

- Ispettore, lei mi vuole far dire cose che io non ho detto. Non vi sono persone da uccidere, in nessun modo - e lo disse guardando l'altro direttamente in volto.

- Secondo lei aveva un senso la disposizione dei colori data dalla vittima?-

- Non saprei. Ferdinando non era un persona che faceva le cose così per farle. Però non so se avesse seguito un particolare disegno nella disposizione cromatica.-

- Ah, una domanda. Sembra che lei quando si è alzato in piedi, abbia anche alzato la mano. Lo ha fatto per qualche particolare intenzione?-

- Sinceramente non me ne ricordo. Vede ispettore, io ho passato un a buona parte della mia giovinezza in un collegio in cui la disciplina era molto rigida. Per chiedere la parola si era costretti ad alzare una mano. Crescendo ho cercato di cancellare alcune abitudini, ma altre evidentemente le ho solo attenuate. Non mi ricordo se in quel preciso istante abbia o meno alzato la mano, ma se l'ho fatto è stato certamente per riflesso in­condizionato.-

- Bene. Lei dove era seduto?-

- Ero tra Mannoni e Marchetti -

- Quindi quando Pedretti è caduto a terra era abbastanza vicino. Non ha notato nessun comportamento anomalo?-

- No, come è caduto a terra, siamo rimasti per qualche istante alla tavola, poi ci siamo preoccupati e lo abbiamo soccorso, ma ormai era già morto.-

- Già, era morto. E così l'enigma deve essere annullato.-

- Certamente. Non è più possibile continuare dopo quanto è successo!-

- Per il momento non ho più nulla da chiederle, può andare.-

Aveva finito di interrogare quelli che erano riusciti a pervenire alla soluzione dell'enigma della campana, o per lo meno che si erano comportati come se l'avessero risolto. Ma avevano raccontato tutti la verità? Erano veramente in grado di spiegare come si erano svolte le cose? Ferretti aveva pensato fino a quel momento che l'assassino potesse annoverarsi tra coloro che non erano in grado di pervenire alla soluzione. Aveva lasciato per ultimi proprio questi, in modo che quando fosse toccato il loro turno, lui avesse già un idea di come si erano svolte le cose, voleva evitare di essere colto alla sprovvista. Ma ora, dopo averli ascoltati non era più così sicuro, se mai lo era stato. Si prese qualche minuto di pausa per riordinare le idee e quindi convocò il primo dei rimanenti.

Il Fanti avanzò fino al centro della stanza e si fermò. Gli fece cenno di accomodarsi e lui si sedette sulla sedia a circa un paio di metri dal detective.

Questi, procedette come aveva già fatto con gli altri e lo invitò ad esporre i fatti.

- Signor Fanti, lei non era tra quelli in piedi al momento della morte della vittima. Ne devo dedurre che non era in grado di dire quale colore le fosse toccato. E' esatto?-

- Si, non sapevo quale fosse il mio colore. Potevo fare delle congetture, questo si, ma non avevo nessuna certezza. A dir la verità se mi trovassi nelle medesime condizioni, non lo saprei nemmeno adesso.-

L'ispettore rimase sconcertato nel sentire che qualcuno ammettesse di non esserci riuscito.

- Lei nella classifica quale posto occupa?-

- Oh, io sono nelle ultime posizioni. Non sono certamente all'altezza di Tarchetti o Schimberni, io frequento il Mistery per puro divertimento; quando un enigma perde il suo fascino e smette di divertirmi lo abbandono, non posseggo quella determinazioni che altri possono vantare.-

- Eppure siete rimasti seduti solamente in tre. In tre su un totale di nove. Mi pare di aver inteso, mi corregga se sbaglio che un enigma della campana è un qualcosa di veramente ostico, anche per chi è un esperto del campo come lo siete voi. Eppure ben i due terzi dei presenti, lo hanno risolto, o per lo meno erano sicuri di avere una soluzione. In sei ad ex aequo? Non le pare un po' strano?-

- Non direi, capita abbastanza spesso che in molti dicano di sapere la soluzione e che poi si rivelino errate. E' quasi una routine. La bravura sta proprio nel centrare perfettamente il bersaglio al primo colpo.-

- Le altre due persone che sono rimaste sedute, sono tra quelli che centrano il bersaglio o che procedono per approssimazioni successive?-

- Non dovrei parlar male dei miei colleghi, però Diego, Rosati intendo non è certamente considerato una mente straordinariamente brillante, ed Alba occupa l'ultimo posto. E' vero che è giovane e deve ancora farsi, ma non penso che anche in futuro diverrà mai Mister M.-

- Lei lo è mai stato?-

- No, le ho già detto che per ambire a questo titolo non basta una mera passione per l'enigmistica, bisogna avere una vera e propria ossessione.-

Lo congedò su questa ultima affermazione.

Gli ultimi due furono convocati dopo cena. Ferretti consumò un frugale pasto al bar del club, e non si soffermò a parlare con nessuno. L'atmosfera del resto non era certamente accogliente. Veniva guardato con timore reverenziale, o almeno così sembrava. Ma non ci fece caso, era abituato a quel genere di occhiate, anzi lo stimolavano a procedere. Il primo ad essere sentito fu Franco Alba, che rispose cortesemente alle solite domande di rito.

- Mi scusi se sono indiscreto ispettore, ma ha già qualche idea su chi sia l'assassino?-

Ferretti fu colto di sorpresa. Non era abituato a sentirsi rivolgere delle domande, tantomeno sulle sue indagini. Replicò con qualcosa di simile ad un ci sto pensando, e poi rigirò la domanda sul suo interlocutore.

- Non saprei. Innanzitutto non riesco a trovare un movente. Forse qualcuno aveva degli interessi privati con Pedretti, o debiti di denaro. E poi non so neppure come abbia potuto commettere l'omicidio, con che arma intendo. Credo proprio di essere in alto mare.-

Doveva essere un appassionato di gialli, uno i quelli che si inventano trame che non esistono per rendere più avvincente il racconto.

Ferretti stette al gioco, voleva vedere fin dove l'altro si sarebbe spinto.

- Che ne dice dello psicologo? Poteva aver scoperto qualcosa di personale della vittima?-

- Mannoni? Non penso. Alcune volte eccede e diventa pedante, ma non lo fa con cattiveria. Gli piace atteggiarsi. Non lo crederei capace di commettere un delitto.-

- E lei? Non potrebbe invece essere stato lei?-

- Io? E perché mai? Non ho certo l'età per carpirgli il titolo di anziano, ne sono tantomeno animato da pensieri ostili contro di lui. O per lo meno ero, visto che è morto.-

- E non sapremo mai la soluzione dell'enigma.-

- Oh, ma vi è chi conosce al soluzione. Basta solo che abbia la decenza di rivelarla. Ma penso che siano abbastanza difficili da convincere.-

- Lei non sa la soluzione?-

- Io no. Altrimenti, mi sarei alzato. Ci ho pensato anche oggi, pur sapendo di avere il colore rosso, ma non sono giunto a nulla.-

- E che ne dice di Tarchetti? Non potrebbe essere stato lui? In fondo era quello che aveva più da perdere.-

- Roberto? Beh, è un tipo un po' strano, lunatico senza dubbio, ma non penso che possa mai uccidere qualcuno, neppure in uno dei suoi momenti di sconforto. Per lui l'enigmistica è una vera vocazione, è veramente in gamba.-

- Cadeva spesso in depressione? -

- Non so se fosse una vera e propria depressione, comunque in certi momenti cadeva in uno stato d'animo che ne era molto prossimo.-

- E Schimberni.-

- Ettore è introverso, chiuso. Certe volte darei qualsiasi cosa per conoscere quello che gli sta frullando in testa. Mi è difficile immaginarlo assassino. Glie l'ho già detto, non ne ho proprio idea, non mi sembra possibile che sia stato uno di noi.-

- Nessuno ha detto che è stato qualcuno di voi. Non ci pensi più. A proposito, cosa stava tracciando sul foglietto che aveva davanti quando è avvenuto il decesso?-

- Come fa a saperlo? No, non importa. Capita quando mi concentro su qualcosa che inavvertitamente faccia degli scarabocchi. In genere quando non riesco a venire a capo di nulla. Non sono disegni, di solito sono frecce o triangoli. Dovrei farli vedere a qualche grafologo, chissà mai che significhino qualcosa.-

- Non ho più nulla da chiederle per il momento, può andare. Quando esce dica a Rosati di venire. Arrivederci.-

- Arrivederci.-

L'altro entrò poco dopo.

- Buona sera ispettore - esordì entrando l'enigmista.

- Buona sera. Mi permetta di rivolgerle alcune domande. Lei che colore aveva?-

- Rosso!-

- Suppongo che rimase seduto, perché non conosceva il suo colore. -

- Diciamo di si. Non sapevo in quale modo determinarlo.-

- E lo saprebbe ora?-

- No, buio completo. So che indossavo un cappello rosso, perché l'ho guardato quando me lo sono levato. Tutto qui.-

- E non è curioso di sapere quale linea di ragionamento avrebbe dovuto adottare?-

- Certamente! La notte non dormo pensando a questo dannatissimo enigma. Sto aspettando che qualcuno si decida a parlare. Ma sembra che tutti si tengano cucita la bocca.-

- Prova molto dolore per la morte di Pedretti?-

- Ne sono molto dispiaciuto, non ero così amico da provare un intenso dolore. Certamente è un fatto molto grave, anche perché mina la sicurezza di tutti i membri. Se non esiste fiducia tra i soci, è chiaro che il club non può avere vita lunga.-

- Le sta molto a cuore il Mistery?-

- Direi di si.- Era un espressione ricorrente. Ferretti se ne accorse, ci ricorreva quando non era pienamente convinto di qualcosa. Rosati appariva irrequieto, ma più che innervosito dall'ispettore sembrava il suo modo naturale di comportarsi.- E' un club particolare con gente particolare. Ci sono affezionato.-

- Dunque se dovesse scegliere tra la morte di Pedretti o la chiusura del Mistery?-

- Certo la chiusura del Club sarebbe un fatto molto grave, ma la vita è sacra. Non penso che la morte di un individuo sia un fatto giustificabile.-

- Neppure per arrivare alla soluzione dell'enigma?-

- Lei pensa che la morte di Ferdinando sia dovuta a questo?-

- Io le ho solo rivolto una domanda.-

- No, neppure per la soluzione di un enigma della campana. Anche se non si immagina neppure con che impazienza stia aspettando la soluzione.-

- Bene. Mi dica, con che frequenza vengono proposti gli enigmi della campana?-

- In genere uno all'anno. Vanno di pari passo con la classifica di Mister M, ed il titolo ha carica annuale.-

- Ho finito. Può andare.-

 

 

Ferretti si rilassò per un istante, si abban­donò lasciandosi avvolgere dalla natura, dai suoni e dai profumi che quell'ambiente emanava.

Il piccolo centro abitato, era sempre li che aspettava di scoprire quale fosse il suo centro; Pedretti era morto da ormai una settimana, e non si sapeva chi fosse il responsabile.

Il triangolo che racchiudeva il paese era sempre fisso nella mente dell'ispettore, ma il centro rimaneva un punto ipotetico senza una particolare posizione. Con matematica precisione provò a tracciare le tre altezze di quel poligono che da due giorni stava tormentando i suoi pensieri, sfuggendo ad ogni tentativo di ricostruzione, nello stesso modo in cui l'assassino continuava a rimanere ignoto.

Le tre altezze non cadevano "nel ce0ntro" o per lo meno non in quel punto o in quell'intorno in cui il detective aveva ostinatamente cercato la soluzione, l'ortocentro risultava essere un punto al di fuori dello stesso poligono, molto vicino al vertice dell'angolo più acuto del poligono, ma comunque al di fuori. Proprio lì sorgeva, isolata come un piccolo eremo al di sopra di una collinetta, una villa in stile vittoriano, con un ampio parco tutt'intorno, recintato da una sorta di piccola muraglia. La villa si stagliava dal resto dell'abitato di quel tanto che serviva a conferirgli una nota di solennità. Agli occhi attenti del detective era sfuggita, perché intento nella ricerca altrove, aveva trascurato che "il centro" potesse in realtà non essere in centro. Questa incongruenza lo aveva depistato, ed il geometrico disegno dell'ammasso abitato, aveva contribuito ad aumentare questa cocciutaggine. L'abitazione era certamente stata eretta in quel luogo seguendo tacite regole geometriche, che ne garantivano l'esclusività della posizione evitando l'accerchiamento che una posizione baricentrica avrebbe richiesto.

Di pari passo, i pensieri scivolarono alla tavola, alla cerchia degli affiliati.

Di pari passo Ferretti analizzò la situazione con la stessa metodologia, da un ottica diversa da quella che aveva fino a li seguito. Fu scosso da un tremito; la soluzione di quell'enigma che lo aveva tormentato per due notti, lasciandolo insonne, gli carambolò in testa con la forza di un uragano. Trattenne a stento un esclamazione di meraviglia. Per luce riflessa, la soluzione dell'enigma geometrico del piccolo centro abitato aveva scatenato una reazione a catena che aveva portato alla soluzione anche del secondo e ben più importante quesito. Non aveva ancora chiarito tutte le variabili, ma decise di andare subito al Mistery: solo lì poteva trovare la conferma finale, la veri­tà e con essa l'assassino.

Scese dalla montagna velocemente, con passo sicuro percorse quello stesso sentiero che lo aveva portato alla vetta. Non passò da casa, si diresse immediatamente al club, non aveva certo tempo da perdere.

Varcò la soglia trafelato quasi di corsa sotto gli occhi attoniti dei presenti. Non disse una parola, ma si diresse immediata­mente nella sala est, richiudendo la porta alle sue spalle.

Passò circa un ora senza che nessuno dei misteriani osasse bussare alla porta. Alla fine, fu proprio l'innaturale silenzio che proveniva da quella sala ad infondere nello psicologo la curiosità necessaria a superare i vincoli che la sua coscienza gli imponeva, (così come ebbe modo a dire lui stesso più tardi) e lo portò a bussare alla porta.

- Avanti- disse la voce dall'altra parte, senza una particolare intonazione.

Mannoni varcò la soglia, seguito da buona parte degli altri. Ferretti stava camminando attorno al tavolo in senso antiorario, contando con le mani ogni passo che faceva, o almeno quella fu l'impressione dello psicologo.

- Prego, accomodatevi, stavo giusto per chiamarvi. Signori miei, vi prego di sedervi esattamente come eravate disposti quella sera. - Chiamò anche quelle persone che erano rimaste nell'altra sala, fino a che non fu esattamente ricostruita la disposizione assunta in quella fatidica sera.

- Signori, con il vostro aiuto vorrei effettuare una ricostruzione dei fatti, una ricostruzione di come esattamente svolsero le cose. Vi chiedo di ripetere quello che avete fatto, anche il più piccolo particolare. Se cercherete di fingere me ne accorgerò, per­ché Ferretti sa quello che è successo.

Io so chi è il colpevole!-

A quella esclamazione seguì una gran confusione. Soltanto dopo vari tentativi, il detective riuscì a dominare la situazione.

- Signori vi prego. Un po' di silenzio. Ho detto che so chi è il colpevole, ed intendo smascherarlo oggi stesso. Però non subito. Ho bisogno di un ultima verifica, un ultimo tassello da inserire nel mosaico, e poi il quadro sarà completo. E per farlo ho bisogno del vostro aiuto. Vi avevo avvertiti che sarei giunto alla soluzione. Alcuni di voi mi hanno mentito, ma questo non è servito a fermarmi, non mi ha impedito di arrivare alla verità, all'assassino. Questa ricostru­zione sarà quella che lo smaschererà. Io farò la parte del povero Pedretti. Farò il primo passaggio tra cinque minuti, poi il secondo dopo altri cinque minuti, ed infine il terzo, dopo ulteriori cinque minuti. A questo punto mi aspetto che ripetiate esattamente quello che avete fatto quella sera. Sul tavolo ci sono alcuni fogli, potete prenderli, se vi possono essere d'aiuto.- e detto questo si allontanò dalla tavola.

I cinque minuti sembrarono interminabili, sia per i misteriani che per l'ispettore. Quando finalmente trascorsero, Ferretti si alzò in piedi ed andò ad effettuare un giro attorno al tavolo come l'anfitrione aveva fatto due giorni prima. Nessuno si alzò, e il detective tornò a sedersi sulla sedia nell'angolo, lontano dalla tavola. La tensione serpeggiava fra i presenti, era possibile percepirla quasi a livello epidermico. La si leggeva sui volti dei sospetti seduti a tavola, come su quello dell'ispettore, che appariva teso. Anche il secondo passaggio, avvenne senza particolari: tutti rimasero seduti al loro posto, a significare che nessuno sapeva la soluzione.

Passarono altri cinque minuti senza il mini­mo rumore, senza il minimo movimento. Ferretti si alzò e si diresse alla tavola. Co­me giunse in prossimità dei commensali, si alzarono l'ing. Marchetti, il dott. Mannoni, e Tarchetti. Si mise quindi a camminare attorno alla tavola, come aveva fatto prima di lui la vittima; quando fu dietro Luigi Astolfi questi si alzò. Anche suo fratello, si alzò in piedi quando l'ispettore gli fu dietro, ed infine pure lo Schimberni, esattamente come era successo allora. Ferretti continuò a camminare, fece ancora una decina di passi effettuando quasi un intera rivoluzione attorno al tavolo poi strinse le labbra in una smorfia di dolore e cadde a terra.

Sergio Astolfi, emise un grido isterico che gli morì in gola. Mannoni perse l'equilibrio e per poco non svenne, Tarchetti appariva allibito. Su tutti serpeggiava il panico, il terrore per il secondo omicidio. La confusione regnava sovrana. Nessuno osava muoversi dal suo posto, nessuno osava avvicinarsi al corpo inerme disteso a terra, per paura di constatare quello che in realtà tutti temevano.

Passarono alcuni interminabili secondi poi tutto ad un tratto Ferretti si mosse, si girò su se stesso e si alzò. Guardò in faccia i presenti, si spazzolò la giacca e scoppiò in una sonora risata.

Si sbottonò la giacca e i primi bottoni della camicia. Al di sotto di questa si intravedeva un specie di collare di cuoio che gli fasciava completamente il collo fino a poco sotto la nuca. Ne slacciò il cinturino che lo bloccava e se lo tolse. Lo guardò soddisfatto quindi rivolgendolo ai presenti disse - ecco come è morto Pedretti - e dicendo questo indicò un piccolo dardo conficcato nel collare. Era poco più grande di quelli che si usano con le carabine ad aria compressa, o con cerbottane. Aveva una punta acuminatissima ed una coda piumata che serviva a conferirgli stabilità durante il volo verso il bersaglio.

- Le analisi di laboratorio evidenzieranno sicuramente che la punta è stata intrisa in una soluzione di cianuro di potassio - e detto questo, lo prese con estrema cautela e lo infilò in una busta di plastica che si era portato nella tasca della giacca.

- Cari misteriani, come potete vedere Ferretti è arrivato alla soluzione del più importante enigma che sia mai stato formulato dentro queste sale.-

Gli altri lo guardavano allibiti. Sui volti si potevano cogliere le più diverse espressioni: dall'incredulità alla sorpresa, dallo scetticismo alla ammirazione.-

Attese che il brusio si placasse quindi iniziò con calma ad esporre.

- Non è stato facile arrivare all'assassino. Innanzitutto devo premettere di essermi trovato subito spiazzato per la singolare situazione in cui si erano svolti i fatti. La vittima era stata spostata, e con essa anche l'eventuale arma del delitto. Il delitto era avvenuto davanti agli occhi di tutti senza che nessuno notasse nulla ed infine la parti­colarità se mi scusate il termine dei membri che siedevano a quella tavola. Inoltre voi stessi avete contribuito ad aggravare la situazione. Nessuno ha voluto rivelarmi il modo per arrivare alla soluzione dell'ormai famoso enigma della campana. Nessuno ha voluto infrangere quelle regole che costituiscono i vostri assiomi, nessuno è voluto andare controcorrente per venirmi incontro. Ma come avevo avuto modo di dirvi, c'è di mezzo la morte di un uomo, e questo pone in secondo piano ogni altra questione. Il vostro modo di comportarvi, mi aveva inizialmente turbato: la vita di un individuo non poteva essere paragonata ad un banale enigma, in nessun modo. E questo non riuscivo a digerirlo, mi intestardivo nella ricerca della soluzione, nel cercare un modo per risalire al colore dei cappelli. Ma non a torto signori, perché l'identità dell'assassino era legata inscindibilmente alla soluzione del mistero.

Pensavo che un così forte spirito di competizione poteva per voi divenire la causa scatenante, il movente. Mi chiesi se i maggiori indiziati non potessero essere quelli rimasti seduti, in quanto non erano in grado di fornire alcuna spiegazione. Gli lasciai per ultimi appunto perché volevo avere già rac­colto alcune informazioni prima di interro­garli. Ma non riuscivo a capire come fosse avvenuto il delitto. Certo un piccolo dardo avrebbe potuto essere il responsabile dell'avvelenamento, ma come si poteva usare una cerbottana e non essere visti dagli altri? Poi ieri tutto in un momento, quell'ingarbugliata matassa si è svolta, ed tutto mi è parso chiaro. Aveva indovinato dottor Mannoni, ieri sono salito sul mio piccolo eremo isolato e mi sono messo a riflettere, ho fatto lavorare il cervello. Ero partito da un concetto sbagliato. Mi ricordai del piccolo foro trovato sul collo della vittima, al di sotto del colletto della camicia. Come era possibile dal momento che la vittima era in piedi che una persona seduta fosse stata in grado di lanciare un dardo e colpire quel punto? Era assolutamente impossibile, l'assassino era dunque da ricercare tra quelli che erano in piedi. Ma vi era anche un secondo particolare che solleticava la mia curiosità: ben sei persone su nove, avevano e tutte nello stesso momento, risolto quello che era da tutti considerato come uno dei più difficili enigmi. Ancora una volta, voi avete contribuito ad rendere più difficile la soluzione, mi avete mentito. Non è forse vero?-

Fece una pausa di qualche secondo e poi riprese - Dottor Mannoni le avevo detto che sarei giunto alla soluzione e vi sono giunto, nonostante le sue menzogne!-

- Io non ho affatto mentito. Le ho raccontato esattamente come si sono svolti i fatti. Non sono un assassino!-

- Oh, su questo non c'è dubbio, la ricostruzione era fedele, tranne per un piccolo particolare: lei si è alzato pensando di sapere la soluzione, ma poi, dopo la morte della vittima, quando si è tolto il copricapo, si è ac­corto che il colore non coincideva con quello che pensava. Ma oramai l'anfitrione era morto, e non le conveniva dichiarare di aver sbagliato. Ma non è stato il solo, anche lei ingegner Marchetti si è comportato in modo analogo. E con voi anche i due fratelli Astolfi, anche se devo ammettere che il signor Sergio, mi ha manifesto questo suo errore.

Come sono giunto a queste conclusioni? Beh, non è stato molto semplice, lo devo ammettere, ma poi con un po' di logica ci sono arrivato. La soluzione mi si è presentata quando ho pensato alla disposizione dei colori data da Pedretti. Non poteva certo aver distribuito a caso i cappelli, ognuno doveva essere abbinato alla abilità del suo portatore. Vi erano tre gruppi di colori: il rosso con due copricapi, il giallo con tre ed il verde con quattro. Come mai non fare tre gruppi omogenei nel numero? Evidentemente anche alla vittima piaceva giocare con la psicologia, ha voluto vedere se le sue previsioni si sarebbero rivelate esatte. Purtroppo non ne ha avuto il tempo. L'enigma andava risolto nel seguente modo: se vi fosse stato un solo cappello di un colore, per esempio il rosso, il suo portatore avrebbe visto sulle teste degli altri solo cappelli verdi e gialli. Ma l'anfitrione aveva detto che i colori erano tre, e quindi doveva esserci anche il rosso. Ora non vedendo nessuno con questo colore, lui avrebbe dovuto subito capire che il cappel­lo mancante ossia il rosso era il suo e quindi si sarebbe dovuto alzare al primo gi­ro.- Fece una pausa ad effetto, aveva cata­lizzato l'attenzione su di se.

- Ma nel nostro caso non vi era una condizione simile. Supponiamo quindi che vi siano due cappelli rossi. Ognuno dei suoi portatori, vede cappelli gialli, verdi ed un solo copricapo rosso, visto che il secondo è il suo. La sua linea di ragionamento doveva essere la seguente: se esiste un solo copricapo rosso, e quindi io ne ho uno o giallo o verde, questi si alza sicuramente al primo giro dell'anfitrione (il caso precedente). Viceversa, se non si alza, significa che anche lui è nella mia condizione cioè che anche lui vede un cappello rosso e che quindi ve ne sono due. Questo naturalmente si scopre dopo il primo passaggio, e quindi se i cappelli fossero due, le due persone si alzerebbero al secondo giro. Il discorso è analogo se i cappelli fossero tre; in poche parole se vi è un solo cappello di un qualsiasi colore, la persona se ne accorge subito e si alza al primo giro. Se ve ne sono un minimo di due, si deve attendere il primo giro per effettuare le deduzioni e quindi alzarsi al secondo giro. Se i cappelli sono un minimo di tre, i rispettivi portatori si alzeranno solo al terzo giro; se son quattro al quarto, ecc. Ma torniamo al nostro caso: al primo pas­saggio di Pedretti, non si alza nessuno ed infatti non vi è nessun colore singolo, vi sono due rossi, i quali si sarebbero dovuti alzare al secondo giro e porre fine all'enigma della campana. Ma questo non succede. Pedretti si era divertito dando maggiori possibilità a quelli meno abili, os­sia a chi occupava nella graduatoria gli ul­timi posti: Alba Franco e Diego Rosati. tutto sommato era un rischio calcolato: se uno di questi avesse indovinato, non sarebbe comunque riuscito ad insediare le primissime posizioni. E come certamente si era aspettato, questi due non riescono a pervenire alla soluzione ed il secondo giro si conclude senza nulla di fatto.

Ed ora viene il bello, si crea una situazione molto curiosa. I rossi sono seduti, i verdi, o meglio ciascuno dei verdi vede tre cappelli verdi, tre cappelli gialli e solo due cappelli rossi. Ora visto che nessuno si è alzato al secondo giro è logico supporre che anche i rossi siano tre e che quindi il terzo sia proprio il loro. Vede la particolarità? Tutti e quattro i verdi si alzano al terzo giro, e sono tutti e quattro convinti di essere rossi! Pedretti si rivela essere un maestro. Mannoni, Marchetti e i fratelli Astolfi si alzano al terzo giro. Rimangono solo i gialli, dove Pedretti aveva inserito il primo ed il secondo in graduatoria. Renzo Fanti non riesce ad afferrare il concetto e rimane seduto. Ma sia Tarchetti che Schimberni devono avere capito che qualcosa non andava già dal secondo giro. Loro infatti vedono due gialli e due rossi, oltre che quattro verdi. Intuiscono che qualcuno ha sbagliato, ma devono capire chi. Tarchetti si alza per terzo prima che tutti i verdi siano in piedi. Questo comportamento merita attenzione. Lui, il numero uno, si alza subito senza esitazione, ha capito il giochetto di Pedretti, esamina la situazione e vede gli ultimi in classifica con il colore rosso e i primi con il giallo, è logico quindi supporre di avere il giallo. Non ne è sicuro ma rischia, non ha nulla da perdere è il primo e deve fare di tutto per rimanere tale. Successivamente si alzano gli altri verdi, a completare il quadro. L'ultimo è Schimberni. Perché si alza per ultimo? Me lo sono chiesto a lungo, se si fossero alzati solo i verdi, tutto sarebbe regolare. Il fatto è che lui vede in piedi anche Roberto e non è logico. Sa che se è lui a risolvere l'enigma, si aggiudica anche il titolo di Mister M, e questo non può permetterselo. Rimane qualche secondo a pensare, non sa cosa fare. Rimane seduto perché deve aspettare che Pedretti arrivi dietro di lui per colpirlo con il dardo: l'unico modo per invalidare l'enigma. Attende fino a quando Pedretti gli arriva dietro, quindi si alza, ed alza anche la mano imprimendogli un moto rotatorio verso la spalla: l'occasione per lanciare il dardo avvelenato. Nessuno nota il fatto, passa inosservato ma non a Ferretti. Lei signor Schimberni ha deliberatamente assassinato il signor Pedretti per evitare di essere definitivamente eliminato dalla clas­sifica.-

- Ma tutto questo è assurdo - rispose l'al­tro.

- La vittima aveva un minuscolo foro esat­tamente un centimetro sotto il colletto. Come può essersi conficcato in quel punto il dardo? L'unico modo è l'essere stato scagliando da una posizione più elevata del colletto stesso, e lei era l'unico ad avere una mano alzata. Ha ripetuto il gesto anche questa sera, voleva forzarmi al silenzio, ma le è andata male. Del resto io ho il dardo che l'assassino mi ha scagliato questa sera, l'analisi delle impronte digitali identifiche­ranno senza ombra di dubbio il colpevole. Ci è cascato. Io non avevo alcuna prova prima di questa ricostruzione, potevo basa­rmi solo su delle supposizioni. Ho finto di avere in pugno l'assassino costringendolo a fare un passo falso. E lei lo ha fatto. Il cia­nuro di potassio, impiega circa dieci se­condi per portare alla morte se in contatto direttamente col sangue. Io ho contato a ritroso fino a dieci, da dove si è accasciata la vittima e sa dove sono arrivato? Esatta­mente alla sua sedia. Lei inoltre è stato l'unico a manifestare la sicurezza dell'annullamento dell'enigma mentre gli altri hanno semplicemente confessato di non aver idea sul da farsi. Lei era fermamente deciso ad annullare l'enigma perché non era in grado di risolverlo e l'unico modo era quello di portare al silenzio Pedretti.-

Schimberni appariva pallido, sudava freddo. Si guardò intorno osservando le espressioni dei compagni poi emise un urlo strozzato e si accasciò sul tavolo. Morto.

Gli altri accorsero a sollevarlo, lo girarono ma oramai la vita lo aveva abbandonato.

- Mi ero aspettato una reazione del genere. Sapevo che non avrebbe retto il peso della colpevolezza. Doveva avere ancora un dardo con sé e l'ha usato per togliersi la vita. E' stata l'unica via di scampo possibile, l'unico modo per evitare il peso della sconfitta.-

- Ma ispettore vuol forse dire che lo ha volutamente spinto al suicidio?-

- Non sono stato io ma la sua stessa coscienza che lo ha fatto. Io mi sono limitato ad esporre i fatti nel modo in cui sono realmente accaduti - e detto questo si avviò verso l'uscita.

Era curioso di vedere quella villa vittoriana che troneggiava sulla collina, quella stessa che gli aveva fornito la chiave risolutrice del mistero, quella stessa che sorgeva sull'ortocentro del piccolo paese.

Si diresse con passo regolare verso l'insediamento urbano.

Aveva una lunga strada da percorrere ed il sole era ancora alto.

 

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aggiornato il 23/01/2010

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